sabato 30 gennaio 2010

Haiti, dove sono dunque gli aiuti?

Gaby Saget è giornalista a Radio Métropole, una delle principali radio francofone di Haiti. Ed è lei a trasmettere l'impazienza che regna a Port-au-Prince: quattordici giorni dopo la catastrofe, perché gli aiuti non arrivano, o arrivano così poco, ai sinistrati?
Reportage da Mediapart.fr


Sono centinaia, molte centinaia i senza tetto accampati a Place Boyer. Siamo nel pieno centro di Pétionville, comune in realtà ricco e protetto che domina la capitale Port-au-Prince. Qui, sono state improvvisate delle tende di fortuna a partire da alcuni assi di legno e qualche vecchio riparo. Sotto questi rifugi precari, i terremotati hanno ammassato le poche cose che sono riusciti a recuperare dalle rovine delle proprie abitazioni.

Mentre la prospettiva di forti pioggie minaccia la situazione di questi campi provvisori, il problema del cibo diviene ogni minuto più urgente. Dal terremoto del 12 gennaio, nessun soccorso, nessuno aiuto è arrivato ai sinistrati di Place Boyer, assicurano qui. Prima della catastrofe, bastava una mezz'ora di auto per oltrepassare la collina e raggiungere la base di Port-au-Prince. In un quarto d'ora, si poteva raggiungere così la zona del porto o dell'aeroporto dove arrivano oggi gli aiuti internazionali.

«Degli stranieri sono venuti a trovarci, hanno preso il nostro nome e hanno promesso di tornare con il cibo ma non li abbiamo più visti» racconta un uomo con un neonato tra le braccia. I suoi vicini confermano ma nessuno nel campo può specificare la loro identità o a quale istituzione appartenessero. «Dei bianchi sono passati domenica con un camion di alimenti. Quando hanno visto che eravamo troppi, e troppa confusione, sono ripartiti senza darci nulla. Nel parapiglia ho preso anche un pugno al volto» racconta poco lontano un commerciante.

Sempre a Pétionville, nel quartiere di Debrose stavolta, tutti gli spazi liberi sono stati trasformati in campi-rifugio. Anche qui la distribuzione non sembra aver funzionato: i camion hanno distribuito una quantità insufficiente di aiuti e decine di persone non hanno avuto nulla.

«Ho cinque figli e non ho più niente da dare loro» si lamenta una donna, le mani al cielo. L'organizzazione World Vision incaricata della distribuzione degli aiuti non è riuscita a tener testa al disordine. «Ci hanno dato una carta con un numero. Sono qui da questa mattina e non ho ricevuto ancora niente» ci racconta ancora un uomo.

Gli abitanti del quartiere hanno così cercato di organizzarsi. Ogni campo possiede un comitato con il compito di gestire la distribuzione ma, secondo alcuni abitanti, quando la distribuzione degli aiuti riesce finalmente ad arrivare si farebbe tramite clientele.

Lo sfinimento, le tensioni crescenti, le penurie rendono ancora più difficile la ripartizione di aiuti troppo rari. «Occorrerà separare gli uomini dalle donne nelle file di attesa perché è difficile per noi donne battersi con gli uomini per ottenere da mangiare» ci spiega una donna.

Le associazioni e organizzazioni umanitarie hanno le difficoltà più evidenti a organizzarsi di fronte a tali urgenze. Uno dei responsabili di World Vision riconosce che la distribuzione di lunedì mattina si è svolta in modo assurdo. «Debrose è un caso isolato, si difende. Non abbiamo colpe ma se le persone non sono abbastanza organizzate la distribuzione non funziona».

La mobilitazione delle Ong è totale, ci assicurano da ogni parte. Ma intanto gli aiuti umanitari non giungono alle vittime di Petionville. E in molti angoli della città sono appesi degli striscioni frettolosamente messi insieme: «We need food, help, water...Abbiamo bisogno di cibo, di aiuto, d'acqua ...»





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