martedì 16 febbraio 2010

Distruggere il capitalismo prima che distrugga il pianeta

La conferenza sul clima che si è tenuta a Copenhagen pochi mesi fa, ha dimostrato ancora una volta l’ipocrisia dei leader mondiali che più che salvare il nostro pianeta pensano solo a salvare i loro interessi economici.

Riscaldamento fuori controllo

Nel 2007, la relazione del GIEC (gruppo intergovernativo di esperti sul clima) affermava che con una temperatura superiore di due gradi a quella che conosceva il pianeta prima dell'entrata nell'era industriale (cioè due secoli), un disastro incalcolabile avrebbe avuto luogo. Oggi, la stragrande maggioranza degli scienziati pensano che le temperature aumenteranno ben oltre i due gradi e che potremmo assistere ad un aumento di tre a sei gradi prima della fine di questo secolo.

La ragione principale è che man mano che la loro temperatura aumenta, gli oceani perdono la loro capacità di assorbire il gas carbonico. D’altronde, la quantità di carbonio è superiore nel permafrost (il sottosuolo permanente) delle regioni polari che nell' intera atmosfera. Lo scioglimento di questo permafrost libererà dunque enormi quantità di carbonio. Per gli esperti, se le emissioni di gas carbonico, di solfato e di diossido d'azoto continueranno a crescere al ritmo attuale, questa bomba dovrebbe scoppiare nei 100 prossimi anni. Siamo quindi attualmente all'inizio di un punto di non ritorno, un punto dove più nulla permetterebbe di fermare il riscaldamento globale, indipendentemente dalle misure adottate.

Il riscaldamento climatico implica soprattutto la desertificazione accelerata di una grande parte dell’Africa e dell’Asia accoppiata con l'aumento del livello del mare che annegherebbe zone litorali fortemente popolate e la moltiplicazione dei cicloni, tempeste ed altre inondazioni. Lo scioglimento delle nevi e la scomparsa dei ghiacciai dell’ Himalaya, sono le prospettive piu’ attendibili per questo secolo, un secolo in cui i grandi fiumi dell'India che da li nascono diventano fiumiciattoli stagionali, trasformando decine , centinaia di milioni di persone nelle strade in “profughi climatici”.

Il consumo d'energia fossile - gas, petrolio, carbone - è la principale fonte d'emissione di gas a effetto serra, all'origine del riscaldamento climatico. L'ultima relazione dell'agenzia internazionale dell'energia (AIE) annuncia che l’energia fossile rappresenterà ancora l'80% del consumo d'energia sul pianeta nel 2030.

Un mercato inefficiente ma fruttuoso

Tuttavia, dalla prima conferenza sul clima a Rio nel 1992, le relazioni e le conferenze sempre più allarmiste si moltiplicano. Allora, perché nulla o così poco cambia?

La ragione principale risiede nel fatto che le politiche “verdi” attuate dai governi e dalle grandi istituzioni come l'Unione europea, la Banca mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale riflettono soprattutto gli interessi del mondo degli affari. La lotta al riscaldamento climatico è abbordata dal punto di vista dell'alta finanzia piuttosto che considerando gli obiettivi ambientali a lungo termine.

L'esempio più palese è quello “dei diritti a inquinare”: è ormai possibile per i paesi che inquinano di più, di continuare ad inquinare in santa pace a condizione di riacquistare “diritti a inquinare” ai paesi che inquinano meno. Il risultato in materia di lotta contro l'inquinamento è drammaticamente limitato ma questo mercato, tra l’altro quotato in borsa ,è un settore particolarmente fruttuoso per le manovre speculative.

Altri meccanismi permettono alle grandi multinazionali dell'energia di proseguire i loro progetti industriali fortemente consumatori d'energia fossile inquinante a condizione di adottare misure di compensazione: piantare alberi che assorbono il carbonio, conservare il carbonio sotto terra o nell'oceano,… tutto a beneficio di queste multinazionali che continuano a fare profitti enormi con le loro produzioni classiche (ed inquinanti) ed in più ricevono crediti importanti per sviluppare alternative (che potranno vendere ad altre aziende)…

L'altra ragione per la limitata efficienza delle politiche internazionali in materia di clima, è che “la cattiva volontà” non viene solo dalle società private. Gli Stati difendono fermamente le loro aziende. Nonostante le commoventi dichiarazioni di Obama a Copenhagen, gli Stati Uniti continuano a rifiutare ogni accordo giuridicamente vincolante sul clima, temendo che aumenti ancora le difficoltà dell'economia US a rimanere in pole position. Le nuove potenze emergenti, come la Cina o l'India non vogliono nessuna misure costrittiva che rallenterebbe il loro sviluppo economico.

Da parte dei privati come da quella dei governi, è la stessa logica capitalista della concorrenza e della caccia al profitto che predomina. E sono i popoli e l'ambiente che ne pagano le conseguenze dirette.

Cambiare il sistema per salvare il pianeta.

Abbiamo visto che lasciando le decisioni e la loro applicazione in mano alle multinazionali e ai governi, si agisce poco, lentamente, e senza risultato! E non c'è nessuna ragione perché ciò cambi in futuro. È precisamente per potere agire “rapidamente e bene” che la lotta per salvare l'ambiente deve diventare una parte importante della lotta al capitalismo.

Strappare la grande produzione alla logica capitalista della concorrenza e del profitto su scala internazionale permetterebbe di eliminare le produzioni inutili e consumatrici di quantità enorme d'energia, riorientare la produzione sociale verso fini utili, sviluppando alternative energetiche pulite e rinnovabili a lungo termine. Solo l’eliminazione della produzione dell'armamento, della pubblicità e della speculazione finanziaria permetterebbero di porre fine al sottosviluppo e di orientare le scelte energetiche per rallentare il riscaldamento climatico.

Tale cambiamento non può ovviamente essere realizzato dall'alto da una minoranza illuminata. Implica al contrario la più ampia discussione democratica a tutti i livelli che arrivi a scelte chiare, che permetta una pianificazione democratica della produzione in funzione dei bisogni dell'umanità e non dei profitti di una minoranza di azionisti e banchieri.

Tutto ciò richiede dunque che il potere reale passi dalle mani dei capitalisti a quelle della stramaggioranza dei lavoratori e giovani, dei contadini e dei più poveri.

Il socialismo non è il dolce che ci potremo offrire dopo aver salvato l’ambiente. È la condizione stessa del salvataggio del pianeta.

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