martedì 12 gennaio 2010

Questa sinistra è allo sbando: serve una sinistra dei lavoratori!

La crisi economica, che sta avendo effetti devastanti, non è finita. Si prevedono la chiusura di centinaia di migliaia di aziende e un milione di nuovi disoccupati. La cassa integrazione è alle stelle e si profilano nuovi attacchi al salario e alle pensioni. In questa situazione ci aspetteremmo un intervento forte della sinistra. Ma la sinistra è allo sbando.


La crisi della sinistra, la sua divisione, la sua inefficacia sul piano sociale e sul terreno elettorale sono aspetti diversi di un fenomeno complesso, prodotto dalle scelte fallimentari della sua classe dirigente in questi anni. Si potrebbe discutere a lungo quanto sia colpa di alleanze elettorali “contro natura”, della partecipazione a governi e giunte disastrose, della contraddizione tra il dire e il fare, sempre giustificata con la “responsabilità istituzionale” o il “se no tornano le destre”. E' una discussione a cui abbiamo partecipato e continueremo a partecipare, ma qui ci interessa ciò che sta “dietro” questa discussione.



Per noi la politica è una forma di rappresentanza sociale e un partito è lo strumento politico col quale rappresentare appunto gli interessi di una parte della nostra società. In una società basata sulla diseguaglianza chi dice di essere equidistante in realtà sta dalla parte del più forte. Noi pensiamo che la sinistra debba tornare a rappresentare gli interessi di chi sta sotto, dei lavoratori e dei ceti popolari, di chi produce la ricchezza di questa società e – secondo alcuni – dovrebbe pagarne tutti i costi. Non è solo il richiamo ad una tradizione. Servizio Sanitario Nazionale, Statuto dei Lavoratori, leggi sul divorzio e l'aborto: in Italia ogni conquista sul terreno del progresso sociale è arrivata quando si sono mossi i lavoratori e a beneficiarne non sono stati solo loro, ma i nove decimi della popolazione. E quando i lavoratori si sono indeboliti ci hanno perso tutti, a parte pochi privilegiati. E' una regola generalizzabile nel tempo e nello spazio, che si manifesta in tutto il mondo da 150 anni.



E' proprio il suo legame col movimento dei lavoratori che in passato ha assicurato alla sinistra una forza, identità, autonomia e spesso anche capacità di muoversi in modo unitario. E viceversa quando si è cominciato a teorizzare della scomparsa della classe operaia, la centralità di nuovi soggetti sociali, il superamento della lotta di classe in nome della modernità la sinistra ha vissuto la crisi ideologica e organizzativa; la perdita di autonomia ed efficacia; le divisioni interne e la separazione dalla propria gente. I risultati delle ultime elezioni ci dicono che la crisi della sinistra va di pari passo col drammatico vuoto di rappresentanza politica dei lavoratori ,con l'avanzata della destra nelle grandi città del nord, nelle fabbriche, nei quartieri popolari, trai i giovani.



La crescita delle burocrazie politiche (e sindacali) ha avuto un ruolo determinante. La discussione sulle alleanze, sulla costruzione di nuovi partiti, federazioni, coalizioni elettorali, di cui si nutre il dibattito nei partiti di sinistra è anche frutto di questo. Invece di partire dagli interessi concreti dei lavoratori, si parte dall'esigenza del ceto politico di sinistra di assicurarsi un futuro attraverso la difesa del proprio posto al sole. Invece di cercare risposte concrete ai licenziamenti, alla precarietà, alla caduta dei salari si discute solo di come andare al governo. Al problema dell'unità a sinistra si risponde con coalizioni pasticciate e senza un programma politico condiviso, pur di superare gli sbarramenti elettorali. Così in nome della lotta a Berlusconi e dei piccoli risultati concreti si è passati dall'evocazione di una sinistra con un potenziale elettorale del 12-15% alla cancellazione della sinistra dal Parlamento italiano ed europeo, da gran parte dei consigli comunali e provinciali e - proseguendo su questa strada – si rischia di ripetere la stessa storia alle regionali. La sinistra perde voti, ma anche iscritti, militanti e credibilità.



In questo modo si va verso un deserto che rafforza il berlusconismo doc e le sue imitazioni di centrosinistra, il leghismo e l'estrema destra. Per questo pensiamo che ci sia bisogno di una nuova rappresentanza politica, indipendente e anticapitalista, dei lavoratori e dei movimenti di lotta contro il liberismo.



Indipendente vuol dire che non si possono difendere i lavoratori alleandosi con partiti amici di Confindustria, delle banche, del Vaticano (ad es. il PD e oggi addirittura l'UDC).



Anticapitalista vuol dire che la crisi del capitalismo non devono pagarla i lavoratori di oggi e di domani (cioè i giovani), ma chi l'ha provocata con lo sfruttamento del lavoro, la speculazione di Borsa, le privatizzazioni, l'Unione Europea, la guerra, la devastazione ambientale ecc.

Ma far pagare la crisi ai veri responsabili significa mettere in discussione l'attuale sistema economico e sociale e proporne uno alternativo.



Non si tratta di creare a tavolino nuovi partitini e organigrammi, ma di selezionare singoli e gruppi di compagni insoddisfatti, di aprire una discussione tra loro, di cominciare a ricostruire forme di coordinamento e unità d'azione basate su idee e obiettivi concreti, sapendo che è un'impresa lunga e difficile, che le sue tappe dovranno essere determinate dalla lotta di classe e non dalle esigenze della politica di professione.

Bisogna decidere come riorganizzarsi nei luoghi di lavoro, intervenendo anche sulle nuove forme di lavoro, e come rilanciare l'idea di un sindacato dei lavoratori, che devono riappropriarsi del sindacato lottando per un controllo democratico sulle sue scelte. E d'altra parte bisogna dare una sponda politica a chi nel sindacato, proprio perchè resiste, rischia l'isolamento. I grandi problemi - crisi, guerra, immigrazione, globalizzazione, devastazione ambientale – vanno affrontati dal punto di vista dei lavoratori. Vi sembra un salto nel vuoto? In realtà il salto del vuoto lo facciamo se andiamo avanti così.



Noi non abbiamo la presunzione di poter fare da soli una cosa così difficile. Non ne abbiamo la forza. Né vediamo oggi una forza politica che voglia provarci lei. Per questo oggi proviamo a stimolare una discussione che coinvolga partiti, associazioni, gruppi e singoli compagni.

Solleviamo il problema e ci rivolgiamo a compagni e lavoratori con cui in questi anni abbiamo discusso, lottato e fatto politica per proporre un'iniziativa comune su questi temi: apriamo una discussione nei posti di lavoro e tra elettori e militanti di sinistra, insomma troviamo insieme una via d'uscita. Non assistiamo in silenzio all'autodistruzione!



M.Veruggio, A.Ghaderi, P.Granchelli, L.Minghetti

(Comitato Politico Nazionale Rifondazione Comunista e aderenti all'Associazione Controcorrente)



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