venerdì 2 aprile 2010

Elezioni Regionali 2010. Un primo bilancio

Mentre i dibattiti televisivi e giornalistici si soffermano su vincitori e i vinti e cominciano i consueti regolamenti di conti tra i partiti e nei partiti, penso sia necessario un punto di vista diverso, almeno un po’ oggettivo, rispetto all’analisi del voto. In particolare vanno analizzati i voti reali e non le percentuali, verificando gli effettivi spostamenti di votanti, il peso dell’astensione sui singoli partiti, ecc.
di Antongiulio Mannoni



Propongo questo raffronto tra le principali scadenze elettorali degli ultimi anni, con l’avvertenza che le consultazioni regionali sono immediatamente confrontabili come bacino omogeneo, mentre nel paragone con le scadenze nazionali va tenuto presente che rispetto alle regionali sono assenti la Sicilia e l’Abruzzo che hanno proprie scadenze elettorali. Pesa, ovviamente, nel raffronto con le politiche e le europee soprattutto la mancanza del voto siciliano.

Le fonti dei dati sono il Viminale, la Repubblica e l’Ufficio Elettorale del PdCI (scarica la tabella coi dati andando su: http://www.ourmedia.org/sites/default/files/ia/original/Text%20PDF/regionali_tab/regionali_tab.pdf ).

Qualche appunto di analisi:

Anzitutto, il dato più eclatante è sicuramente l’aumento delle astensioni, che sommate a schede bianche e nulle si avvicinerà probabilmente al 40% dell’elettorato. Difficile darne una lettura politica univoca, ma si conferma lo scollamento sempre più presente tra il mondo della “politica” e il mondo della vita concreta di molte persone. Si è detto in modo superficiale che l’astensione avrebbe penalizzato la destra. In realtà, si è distribuita, mi sembra, sui due grandi partiti PDL e PD e ancora una volta, come nelle politiche del 2008, ha colpito di più i partiti della sinistra (Federazione e SL). A limitazione del danno, nel Lazio, può aver avuto effetto l’appello al voto della curia contro la Bonino, mentre per SL può aver pesato nazionalmente l’effetto trascinamento di Vendola. Sicuramente i 300.000 voti in meno di Rifondazione (Federazione) sono in buona parte da cercare nell’astensione, oltre che nella vicenda Piemontese e la crisi col movimento NO TAV.

Si stanno spendendo fiumi di inchiostro per analizzare un presunto spostamento a destra del paese dovuto alla vittoria della Lega al Nord. I dati dicono in realtà che l’elettorato leghista è sostanzialmente stabile in un panorama di arretramento altrui. Più che un partito leninista (come lo definisce la Stampa di Torino) la Lega è più semplicemente un partito. Ha un suo radicamento storico, un gruppo militante, quadri amministrativi relativamente giovani e discretamente competenti (tra l’altro ancora non toccati da grossi fenomeni di corruzione) che mantengono un forte rapporto con la “base”, un suo collante ideologico e una precisa identità politica. La sua capacità di presa sui ceti produttivi anche operai del Nord è l’ultima, drammatica, conseguenza del totale deserto e solitudine che la sinistra nel complesso ha generato anche nella classe lavoratrice nel suo frettoloso e inconcludente inseguimento dei cd “nuovi soggetti sociali”, oltre che il riflesso della paura reale, concreta, tra i lavoratori della concorrenza con la manodopera straniera, spregiudicatamente utilizzata dal padronato del nord per abbassare redditi e diritti.

Sempre a proposito di presunto spostamento elettorale a destra del paese (la destra vera, tra l’altro, non pare ottenere grandi consensi elettorali) i due blocchi (Destra e Sinistra) complessivamente confermano i pesi reciproci delle recenti elezioni politiche e anche la distribuzione interna dell’elettorato (PDL/Lega – PD/IDV) uscita da quelle elezioni. IL PD si conferma un partito sostanzialmente regionale tra Toscana e Emilia Romagna e non sfonda al Sud e al Nord. Lo stesso PDL stenta ad uscire da un radicamento territoriale preciso nel Nord e la sua presenza nel Sud è instabile e sicuramente subordinata agli accordi con i singoli potentati più o meno criminali di quelle Regioni.

Nell’eterno ondeggiare della sinistra si riaffaccia l’idea del nuovo “Arcobaleno”, dell’estensione della Federazione alla formazione vendoliana. Tale eventualità, assolutamente incomprensibile da un punto di vista politico e programmatico (sempre che ci sia qualcuno che abbia voglia di discutere su questo piano) si rivela assai pericolosa anche sul piano della mera matematica elettorale. SL, come il PDL, è un “partito” essenzialmente personale, basato sulla parabola ancora tutta da verificare di un leader radicato su un territorio e vincente solo per le divisioni della Destra nella sua regione. Depurato dal voto pugliese, ciò che resta a livello nazionale è veramente ben poca cosa e anche quel poco vive dell’immagine riflessa del cosiddetto “laboratorio pugliese”. La tentazione elettoralistica per una scorciatoia che sommi ancora una volta capre e cavoli e produca l’ennesimo e definitivo disastro di un Arcobaleno bis andrebbe immediatamente liquidata a fronte di una realistica visione dei fatti che non ceda ogni volta all’ultimo travaglismo o beppegrillismo. Abbiamo, volendolo, una storia e un’elaborazione politica di classe, marxista, a cui rifarci per costruire una nostra visione della realtà da proporre e su cui è possibile, con pazienza e tempo, costruire un’alternativa anticapitalista e comunista. Tra i lavoratori colpiti dalla crisi, tra i precari, tra gli studenti, nei piccoli e grandi movimenti di resistenza alla crisi economica e alla dura logica del capitale e dei suoi interessi, possiamo, per una volta, almeno provare a portare una nostra elaborazione indipendente, o dobbiamo sempre finire al traino dell’ultima, inconcludente, “majorette” mediatica?

Genova, 31 Marzo 2010

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