giovedì 14 luglio 2011

Italian Revolution. Gli indignados italiani

 Redazione

Sono molte le città in cui Italian Revolution-Democrazia Reale Adesso ha organizzato le sue iniziative. L’esempio di piazza Taharir al Cairo, seguito dagli spagnoli e dai greci, ha portato moltissimi giovani anche nel resto d’Europa a occupare le piazze per chiedere a una classe politica giudicata corrotta di andarsene e per dire no a chi vuole scaricare la crisi sulle spalle di chi lavora. Nel Manifesto di Italian Revolution si dice che è un movimento di cittadini che vogliono combattere la classe politica e rivendicare una società nuova che metta la vita al di sopra degli interessi economici e politici. A Bologna il movimento si é strutturato attraverso commissioni e laboratori che si sono alternati alle assemblee pubbliche e a cui abbiamo partecipato. Le discussioni hanno spaziato dalla precarietà all’ecologia, all’educazione, all’immigrazione e alla violenza di genere. Uno dei temi più sentiti è stato quello del diritto alla casa e in seguito alla discussione abbiamo organizzato azioni per bloccare alcuni sfratti.


Discussione o decisione? Al di là di dell’esito positivo di alcune azioni ci siamo trovati troppo spesso prigionieri dell’assemblearismo e di eterne discussioni sui massimi sistemi. Le assemblee che dovevano servirci ad affinare la nostra analisi a delineare degli obiettivi chiari con cui uscire dalle piazze ed andare nelle scuole, nei posti di lavoro e nei quartieri, si sono spesso trasformate in vere e proprie tribune per personaggi in cerca di popolarità che ci tenevano a dire ‘la loro’. Il carattere troppo astratto e generico delle discussioni le ha rese spesso inefficaci e questo ha reso praticamente impossibile trovare una posizione condivisa sulle grandi questioni sociali. Era un’occasione per gettare le basi di una lotta per un vero cambiamento, ma la rabbia dei tanti giovani accorsi alle assemblee non è stata canalizzata in nulla di concreto e le assemblee si sono trasformate in un luogo di discussione fine a se stessa. Nonostante ciò credo che il movimento abbia rappresentato un’esperienza per certi versi utile per molti giovani che si sono avvicinati per la prima volta alla politica e alla lotta e che, privi di qualsiasi esperienza, hanno iniziato a confrontarsi tra loro, a riflettere su come cambiare il mondo e su come trasformare dichiarazioni di principio in rivendicazioni concrete. La grande confusione politica che ha dominato il movimento non deve stupire. Abbiamo parlato spesso della necessità di abbattere il ‘sistema’ attraverso una rivoluzione, ma per la maggior parte delle persone coinvolte la rivoluzione non è un processo storico e sociale ma un’opera individuale di ‘lavoro su se stessi’ e dunque non serve chiedersi a quali settori della società rivolgersi per cambiare le cose. Come è naturale aspetti positivi e negativi si intrecciano spesso in modo contraddittorio. Molti, pur criticando la classe politica, pensano che con un governo di centrosinistra si potrebbe instaurare un dialogo per incidere sulla sua agenda. Un’illusione rafforzata dall’esito delle amministrative e che deriva anche dall’assenza di una vera alternativa politica al centrodestra. Allo stesso tempo c’è stata anche un’evoluzione positiva. Si entra in ogni lotta con le idee e le concezioni sul mondo accumulate nel periodo precedente e la lotta può essere un acceleratore delle coscienze. L’idea che il movimento potesse ottenere una vittoria sul governo semplicemente dichiarando la propria indignazione e senza orientarsi consapevomente verso settori chiave della nostra società come i lavoratori oggi non trova più nessun sostenitore.

In queste contraddizioni siamo intervenuti dicendo che parlare di democrazia reale o partecipativa, senza esigere l’abolizione del lavoro precario, un salario minimo garantito e una pensione dignitosa o senza rivendicare un controllo e gestione della produzione da parte di chi lavora significa evocare dei semplici desideri. Abbiamo sottolineato che, dopo qualche settimana, l’esaurimento delle forza propulsiva del movimento non consentiva di attrarre nuove persone e abbiamo tentato di dare spazio ai soggetti organizzati, dai collettivi alle associazioni ai militanti della sinistra politica e sindacale. Abbiamo sostenuto che per sviluppare la credibilità e l’influenza del movimento era fondamentale affinare la nostra analisi, migliorare la comprensione del sistema in cui viviamo e contro cui lottiamo ed esprimere in modo chiaro i nostri obiettivi, evitando di essere astratti. Ad esempio ci siamo opposti alla decisione di votare ‘l’abolizione delle guerre e delle frontiere’ perché una rivendicazione così generica non permette di darsi degli obiettivi da proporre ad altri soggetti e abbiamo proposto invece una discussione sul controllo e la gestione delle fabbriche di armi da parte dei lavoratori e la loro riconversione a produzioni civili. Infine abbiamo proposto di organizzare le assemblee nei quartieri e nei luoghi di studio e lavoro, evitando di trasformare la piazza in un feticcio.

Dopo l’illusione la disillusione? La partecipazione e l’entusiasmo che hanno caratterizzato all’inizio gli indignados italiani si stanno rapidamente esaurendo: l’assenza di prospettive, la difficoltà di vedere una via d’uscita dalla crisi del capitalismo stanno logorando le già esigue forze. Ciò non significa che l’esperienza sia stata inutile. Il grande entusiasmo dimostrato per alcune settimane è un’indicazione della volontà di ribellarsi che c’è tra i giovani. La voglia di organizzarsi e lottare contro la crisi economica, contro una classe politica cieca e affarista e contro lo strapotere delle banche e degli industriali non svanirà certo con la fine di questa esperienza. D’altra parte il fatto che molti nutrano ancora tante illusioni nella democrazia partecipativa, nello spontaneismo, nella non violenza, nell’interclassismo o addirittura nella bandiera italiana è indicativo dell’enorme vuoto politico che c’è a sinistra. L’assenza di organizzazione non cancella certo la voglia dei giovani di lottare, ma senza un’organizzazione la loro rabbia contro questo sistema si disperde nell’ambiente. Per questo continueremo ad intervenire nel movimento tentando di orientare l’indignazione contro la classe politica verso l’organizzazione di iniziative contro i tagli e le politiche di austerità che il capitalismo ci impone. Quel che è certo è che questo movimento ha contribuito a mettere in moto la coscienza di tanti giovani che oggi cercano – magari confusamente – un’alternativa a questo sistema.


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