Pubblichiamo l'articolo di Robert Bechert, CWI, tradotto dalla redazione di Resistenze Internazionali
Ogni giorno arrivano segnali di  pericolo, l’intervento della NATO ha proiettato ombre oscure sulla  rivoluzione libica. In un paese quasi senza tradizioni, finora, di   movimento operaio, gli effetti distorsivi e i pericoli generati dal  rovesciamento di Gheddafi stanno iniziando a venire allo scoperto.
Subito dopo l’inizio della rivoluzione, le potenze imperialiste, Gran  Bretagna, Francia e Stati Uniti in particolare, hanno utilizzato il  contrattacco da parte delle forze di Gheddafi contro Bengasi e l’est del  paese come pretesto. Preoccupate dalle rivoluzioni in Tunisia ed  Egitto, sono intervenute in qualità di ‘protettori’ del popolo libico e,  tramite l’agenzia filooccidentale e autonominatasi Consiglio Nazionale  di Transizione (TNC), che ha cercato di controllare la rivoluzione e  sfruttarla per i propri fini. Le strutture di autogoverno che avevano  iniziato a svilupparsi a Bengasi sono state ridotte al silenzio e il TNC  è diventato un alleato della NATO.
La recente corrispondenza ha rivelato e confermano gli stretti legami  tra il regime di Gheddafi e le agenzie imperialiste, come la CIA e  l’MI6 britannico, dimostrando l’ipocrisia assoluta delle potenze  occidentali. La loro ‘preoccupazione’ per il popolo libico quando  Gheddafi era al potere non si è mai manifestata. Per le potenze  occidentali venivano prima gli interessi commerciali e la collaborazione  nel quadro della cosiddetta ‘guerra al terrore’.
Solo quando hanno visto la possibilità di sostituire Gheddafi con un  alleato più affidabile e mettere le mani sulla rivoluzione libica, hanno  improvvisamente iniziato a rivendicare un ‘cambiamento di regime’. Ciò  dovrebbe servire da lezione non solo  ai libici ma anche alle  popolazioni della Siria e degli altri paesi in fermento e che potrebbero  nutrire speranze in un intervento esterno contro i propri tiranni. Le  popolazioni in Arabia Saudita e in Bahrein sanno che i paesi occidentali  possono essere amici di regimi dittatoriali e antidemocratici purché  servano gli interessi dell’imperialismo.
Oggi é chiaro che i piani delle potenze imperialiste, in particolare  per quanto riguarda il TNC, non stanno funzionando bene e per questo si  stanno preparando anche all’eventualità di utilizzare la copertura  dell’ONU per un intervento di stabilizzazione nel paese.
Evidentemente, nonostante la caduta di Tripoli, i combattimenti  stanno proseguendo con maggiore intensità del previsto. Mentre è  probabile che i centri abitati dove il sostegno per Gheddafi é più forte  cadranno sotto l’offensiva aerea della NATO, il desiderio di rivalsa  dei ribelli, l’amarezza e le tensioni scatenate dalla rivoluzione e  dalla guerra civile indicano che non c’è nessuna certezza che gli  scontri armati non riesplodano in futuro.
La finzione del TNC
Il TNC – come abbiamo già detto – è in gran parte una finzione e non  ha ancora sciolto la riserva sulla possibilità di trasferirsi a Tripoli,  che non è solo la capitale della Libia, ma anche la città dove vive un  terzo della popolazione del paese.  I suoi leader devono ancora  risolvere la controversia su chi debba rappresentare le zone ovest e sud  del paese e finora non sono stati in grado di nominare un nuovo  ‘governo’ per sostituire quello precedente, dimessosi dopo che il  comandante militare del TNC, il generale Younes, è stato ucciso da  alcuni dei suoi ex alleati ribelli.
La tragedia che ha segnato la prima fase della rivoluzione libica è  che la rivolta spontanea non ha portato allo sviluppo di forme di  democrazia e autorganizzazione che fossero espressione delle masse  lavoratrici e dei giovani. Ciò ha significato che –  soprattutto a  Tripoli – in assenza di organizzazioni popolari indipendenti e  democratiche nei quartieri e nei luoghi di lavoro, le varie milizie e i  gruppi islamici stanno assumendo un ruolo guida nel mantenere la  sicurezza e i servizi, ma queste ‘strutture’ non democraticamente  controllate, hanno obiettivi non certo rivoluzionari.
In assenza di un movimento operaio e di forze di sinistra organizzati  i gruppi islamici hanno iniziato a godere di un sostegno più ampio,  moltiplicando gli appelli populisti contro le potenze occidentali e  sostenendo che la rivoluzione può essere ‘persa’.
Alcune recenti rivelazioni sui rapporti intercorsi tra servizi di  sicurezza di Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Gheddafi per  sequestrare e rapire presunti terroristi sono state utilizzate dai  leader islamici per ottenere consenso a scapito e dei settori più  filooccidentali del TNC. Belhaj, il comandante militare delle forze  ribelli a Tripoli, ha recentemente dichiarato al New York Times che  ‘molti libici temono che la rivoluzione sarebbe stata ‘rubata’ dai  ricchi, dai laici occidentalizzati del TNC’. Nel mirino dei suoi  sostenitori c’è il cosiddetto ‘primo ministro’ del TNC Jibril ed è per  questo probabilmente che stanno tentando di ritardare il suo  trasferimento a Tripoli il più a lungo possibile.
Belhaj è l’ex leader del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) ed  era stato rapito nel 2004, a Bangkok, in una operazione congiunta  CIA/MI6. Divenne il comandante dei ribelli di Tripoli dopo che  il TNC  ritirò il suo primo candidato a quella carica, l’ex generale di Gheddafi  Shkal. Le proteste dei combattenti ribelli portarono alla nomina di   Belhaj al suo posto.
Nel frattempo a Bengasi, un altro leader militare islamico, Ismail  al-Salabi, della Brigata 17 febbraio, ha chiesto le dimissioni del  ‘governo’ guidato da Jibril, in quanto costituito da ‘residui del  vecchio regime’. Egli ha anche avvertito che ‘i valori patrimoniali  libici oggi bloccati non  dovranno tornare sotto il controllo dei  funzionari che lavoravano per Gheddafi’.
La necessità di un programma per i lavoratori e i giovani
I lavoratori e i giovani libici non hanno ancora presentato una  propria piattaforma. Eppure un fattore chiave nella rivoluzione è stata  proprio la rivolta dei giovani contro la corruzione soffocante del  regime di Gheddafi e il nepotismo. Il 30% della popolazione libica – 6,5   milioni di persone – ha meno di 15 anni e ci sono quasi 250mila  studenti universitari.
Il petrolio e il  gas naturale hanno fatto della Libia un paese  ricco. La Banca  Mondiale ha stimato che il paese ha una riserve in  valuta estera per 160 miliardi di dollari. Queste risorse e questa  ricchezza avevano permesso a Gheddafi di innalzare gli standard di vita:  istruzione e l’assistenza sanitaria sono gratuite e i beni di consumo  primari non mancano.
Seguendo la tendenza internazionale degli ultimi 20 anni, il regime  di Gheddafi aveva già dato il via alle privatizzazioni. L’attuale ‘primo  ministro’ del TNC Jibril venne messo a capo del programma di  liberalizzazioni di Gheddafi nel 2007. Nel 2010, il governo di Gheddafi  pubblicò un piano che prevedeva di privatizzare oltre il 50%  dell’economia nel 2010, sebbene le intenzioni fossero di mantenere il  controllo nei settori del petrolio, del gas e delle banche.
Tuttavia è probabile che la leadership filooccidentale del TNC, se  sarà in grado di formare un governo, procederà con cautela  all’attuazione di un programma neoliberista. Molto probabilmente  riusciranno a usare le entrate garantite dalla vendita del petrolio e  del gas per mantenere, almeno temporaneamente, i servizi pubblici e  l’assistenza. Tuttavia c’è già una discussione in atto con chi sostiene  che i sussidi per garantire l’accesso ai prodotti di sussistenza devono  essere concessi seguendo il ‘modello iraniano’, cioè invece di fornire  direttamente i beni, il Governo accredita direttamente una somma di  denaro sul conto corrente degli assistiti, una politica che potrebbe  portare a ridurre progressivamente il valore reale di questi sussidi.  Una nuova crisi  economica potrebbe cambiare radicalmente la situazione e  far precipitare il paese nella catastrofe. Già nel 1980, quando il   prezzo del petrolio scese, il PIL del paese crollò di oltre il 40%.
Ora più che mai, la creazione di organizzazioni indipendenti e  democratiche dei lavoratori è di vitale importanza. Solo i lavoratori, i  giovani e le classi subalterne possono battersi per una vera  trasformazione rivoluzionaria del paese e sventare i piani degli  imperialisti, abbattere la  dittatura e trasformare le condizioni di  vita delle masse popolari.
Per raggiungere questi obiettivi il movimento deve difendere  i  diritti democratici, difendere i diritti dei lavoratori immigrati e  coinvolgerli nella lotta, opporsi alle privatizzazioni, chiedere la fine  di ogni intervento militare esterno e il ritiro di tutte le forze  militari straniere. A tale scopo occorre eleggere un’Assemblea  Costituente e soprattutto evitare che chi lotta sostenga un governo  pronto a utilizzare ricette economiche fondate sulle compatibilità  capitalistiche. Serve un governo che rappresenti i lavoratori e i  poveri, basato su strutture democratiche radicate nei luoghi di lavoro e  nel territorio, che utilizzi le risorse della Libia per la sua  popolazione. Questa sarebbe una vera vittoria per la rivoluzione libica e  costituirebbe un modello a livello internazionale per tutti quelli che  lottano per sbarazzarsi delle dittature  e delle miserie del  capitalismo.

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