martedì 20 settembre 2011

LIBIA. Per difendere la rivoluzione serve l’azione indipendente dei lavoratori!

Pubblichiamo l'articolo di Robert Bechert, CWI, tradotto dalla redazione di Resistenze Internazionali


Ogni giorno arrivano segnali di pericolo, l’intervento della NATO ha proiettato ombre oscure sulla rivoluzione libica. In un paese quasi senza tradizioni, finora, di  movimento operaio, gli effetti distorsivi e i pericoli generati dal rovesciamento di Gheddafi stanno iniziando a venire allo scoperto.

Subito dopo l’inizio della rivoluzione, le potenze imperialiste, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti in particolare, hanno utilizzato il contrattacco da parte delle forze di Gheddafi contro Bengasi e l’est del paese come pretesto. Preoccupate dalle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto, sono intervenute in qualità di ‘protettori’ del popolo libico e, tramite l’agenzia filooccidentale e autonominatasi Consiglio Nazionale di Transizione (TNC), che ha cercato di controllare la rivoluzione e sfruttarla per i propri fini. Le strutture di autogoverno che avevano iniziato a svilupparsi a Bengasi sono state ridotte al silenzio e il TNC è diventato un alleato della NATO.

La recente corrispondenza ha rivelato e confermano gli stretti legami tra il regime di Gheddafi e le agenzie imperialiste, come la CIA e l’MI6 britannico, dimostrando l’ipocrisia assoluta delle potenze occidentali. La loro ‘preoccupazione’ per il popolo libico quando Gheddafi era al potere non si è mai manifestata. Per le potenze occidentali venivano prima gli interessi commerciali e la collaborazione nel quadro della cosiddetta ‘guerra al terrore’.

Solo quando hanno visto la possibilità di sostituire Gheddafi con un alleato più affidabile e mettere le mani sulla rivoluzione libica, hanno improvvisamente iniziato a rivendicare un ‘cambiamento di regime’. Ciò dovrebbe servire da lezione non solo  ai libici ma anche alle popolazioni della Siria e degli altri paesi in fermento e che potrebbero nutrire speranze in un intervento esterno contro i propri tiranni. Le popolazioni in Arabia Saudita e in Bahrein sanno che i paesi occidentali possono essere amici di regimi dittatoriali e antidemocratici purché servano gli interessi dell’imperialismo.
Oggi é chiaro che i piani delle potenze imperialiste, in particolare per quanto riguarda il TNC, non stanno funzionando bene e per questo si stanno preparando anche all’eventualità di utilizzare la copertura dell’ONU per un intervento di stabilizzazione nel paese.
Evidentemente, nonostante la caduta di Tripoli, i combattimenti stanno proseguendo con maggiore intensità del previsto. Mentre è probabile che i centri abitati dove il sostegno per Gheddafi é più forte cadranno sotto l’offensiva aerea della NATO, il desiderio di rivalsa dei ribelli, l’amarezza e le tensioni scatenate dalla rivoluzione e dalla guerra civile indicano che non c’è nessuna certezza che gli scontri armati non riesplodano in futuro.

La finzione del TNC

Il TNC – come abbiamo già detto – è in gran parte una finzione e non ha ancora sciolto la riserva sulla possibilità di trasferirsi a Tripoli, che non è solo la capitale della Libia, ma anche la città dove vive un terzo della popolazione del paese.  I suoi leader devono ancora risolvere la controversia su chi debba rappresentare le zone ovest e sud del paese e finora non sono stati in grado di nominare un nuovo ‘governo’ per sostituire quello precedente, dimessosi dopo che il comandante militare del TNC, il generale Younes, è stato ucciso da alcuni dei suoi ex alleati ribelli.
La tragedia che ha segnato la prima fase della rivoluzione libica è che la rivolta spontanea non ha portato allo sviluppo di forme di democrazia e autorganizzazione che fossero espressione delle masse lavoratrici e dei giovani. Ciò ha significato che –  soprattutto a Tripoli – in assenza di organizzazioni popolari indipendenti e democratiche nei quartieri e nei luoghi di lavoro, le varie milizie e i gruppi islamici stanno assumendo un ruolo guida nel mantenere la sicurezza e i servizi, ma queste ‘strutture’ non democraticamente controllate, hanno obiettivi non certo rivoluzionari.
In assenza di un movimento operaio e di forze di sinistra organizzati i gruppi islamici hanno iniziato a godere di un sostegno più ampio, moltiplicando gli appelli populisti contro le potenze occidentali e sostenendo che la rivoluzione può essere ‘persa’.
Alcune recenti rivelazioni sui rapporti intercorsi tra servizi di sicurezza di Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Gheddafi per sequestrare e rapire presunti terroristi sono state utilizzate dai leader islamici per ottenere consenso a scapito e dei settori più filooccidentali del TNC. Belhaj, il comandante militare delle forze ribelli a Tripoli, ha recentemente dichiarato al New York Times che ‘molti libici temono che la rivoluzione sarebbe stata ‘rubata’ dai ricchi, dai laici occidentalizzati del TNC’. Nel mirino dei suoi sostenitori c’è il cosiddetto ‘primo ministro’ del TNC Jibril ed è per questo probabilmente che stanno tentando di ritardare il suo trasferimento a Tripoli il più a lungo possibile.
Belhaj è l’ex leader del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) ed era stato rapito nel 2004, a Bangkok, in una operazione congiunta CIA/MI6. Divenne il comandante dei ribelli di Tripoli dopo che  il TNC ritirò il suo primo candidato a quella carica, l’ex generale di Gheddafi Shkal. Le proteste dei combattenti ribelli portarono alla nomina di  Belhaj al suo posto.
Nel frattempo a Bengasi, un altro leader militare islamico, Ismail al-Salabi, della Brigata 17 febbraio, ha chiesto le dimissioni del ‘governo’ guidato da Jibril, in quanto costituito da ‘residui del vecchio regime’. Egli ha anche avvertito che ‘i valori patrimoniali libici oggi bloccati non  dovranno tornare sotto il controllo dei funzionari che lavoravano per Gheddafi’.

La necessità di un programma per i lavoratori e i giovani

I lavoratori e i giovani libici non hanno ancora presentato una propria piattaforma. Eppure un fattore chiave nella rivoluzione è stata proprio la rivolta dei giovani contro la corruzione soffocante del regime di Gheddafi e il nepotismo. Il 30% della popolazione libica – 6,5 milioni di persone – ha meno di 15 anni e ci sono quasi 250mila studenti universitari.
Il petrolio e il  gas naturale hanno fatto della Libia un paese ricco. La Banca Mondiale ha stimato che il paese ha una riserve in valuta estera per 160 miliardi di dollari. Queste risorse e questa ricchezza avevano permesso a Gheddafi di innalzare gli standard di vita: istruzione e l’assistenza sanitaria sono gratuite e i beni di consumo primari non mancano.
Seguendo la tendenza internazionale degli ultimi 20 anni, il regime di Gheddafi aveva già dato il via alle privatizzazioni. L’attuale ‘primo ministro’ del TNC Jibril venne messo a capo del programma di liberalizzazioni di Gheddafi nel 2007. Nel 2010, il governo di Gheddafi pubblicò un piano che prevedeva di privatizzare oltre il 50% dell’economia nel 2010, sebbene le intenzioni fossero di mantenere il controllo nei settori del petrolio, del gas e delle banche.
Tuttavia è probabile che la leadership filooccidentale del TNC, se sarà in grado di formare un governo, procederà con cautela all’attuazione di un programma neoliberista. Molto probabilmente riusciranno a usare le entrate garantite dalla vendita del petrolio e del gas per mantenere, almeno temporaneamente, i servizi pubblici e l’assistenza. Tuttavia c’è già una discussione in atto con chi sostiene che i sussidi per garantire l’accesso ai prodotti di sussistenza devono essere concessi seguendo il ‘modello iraniano’, cioè invece di fornire direttamente i beni, il Governo accredita direttamente una somma di denaro sul conto corrente degli assistiti, una politica che potrebbe portare a ridurre progressivamente il valore reale di questi sussidi. Una nuova crisi  economica potrebbe cambiare radicalmente la situazione e far precipitare il paese nella catastrofe. Già nel 1980, quando il  prezzo del petrolio scese, il PIL del paese crollò di oltre il 40%.
Ora più che mai, la creazione di organizzazioni indipendenti e democratiche dei lavoratori è di vitale importanza. Solo i lavoratori, i giovani e le classi subalterne possono battersi per una vera trasformazione rivoluzionaria del paese e sventare i piani degli imperialisti, abbattere la  dittatura e trasformare le condizioni di vita delle masse popolari.
Per raggiungere questi obiettivi il movimento deve difendere  i diritti democratici, difendere i diritti dei lavoratori immigrati e coinvolgerli nella lotta, opporsi alle privatizzazioni, chiedere la fine di ogni intervento militare esterno e il ritiro di tutte le forze militari straniere. A tale scopo occorre eleggere un’Assemblea Costituente e soprattutto evitare che chi lotta sostenga un governo pronto a utilizzare ricette economiche fondate sulle compatibilità capitalistiche. Serve un governo che rappresenti i lavoratori e i poveri, basato su strutture democratiche radicate nei luoghi di lavoro e nel territorio, che utilizzi le risorse della Libia per la sua popolazione. Questa sarebbe una vera vittoria per la rivoluzione libica e costituirebbe un modello a livello internazionale per tutti quelli che lottano per sbarazzarsi delle dittature  e delle miserie del capitalismo.

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