mercoledì 30 novembre 2011

Usa.Occupy Wall Street mette in allarme l'establishment


di Christine Thomas

Da Occupy Wall St a Occupy the World: oggi giorno ogni movimento di protesta che nasce in un paese si estende a macchia d’olio intorno al globo. Prima la primavera araba, poi gli indignados, adesso il movimento Occupy, il 2011 e’ stato un anno di resistenze internazionali innescate da una nuova generazione di giovani che lottano e che puntano a cambiare il mondo. Il movimento Occupy ha una larga eco proprio perché nasce nel ‘ventre della bestia’, gli Stati Uniti, paese simbolo del capitalismo. La crisi economica scoppiata nel 2008 ha distrutto il mito del ‘sogno  americano’, dando via a un incubo fatto di disoccupazione, vite da senzatetto e attacchi devastanti a servizi pubblici, salari e lavoro. 46 millioni di persone vivono nella povertà. Nel giro di 30 anni il reddito del’1% più ricco della popolazione è aumentato  del 275%, mentre il 20% più povero ha visto incrementare il suo reddito del 18%. Così ‘We are the 99%’ (noi siamo il 99%) è diventato lo slogan principale del movimento.



Essendo nato come movimento spontaneo ed eterogeneo non c’è da sorprendersi che gli obiettivi di Occupy Wall St siano vaghi, generici e a volte contraddittorii. Esiste una rabbia molto forte contro le banche e gli speculatori finanziari e l’idea di dover pagare una crisi create da questi. Dilaga un sentimento antisistema, anticapitalista, ma senza idee chiare o condivise su come cambiare il sistema e quale sia l’alternativa.  Non c’è dubbio, però, che il movimento sia molto importante perché sta sensibilizzando e mobilitando una nuova generazione (e non solo) in un paese dove negli ultimi anni le lotte sono state assai limitate. La protesta ha anche suscitato paura nelle classe dirigenti, negli Stati Uniti e altrove. Non temono il movimento in sé: l’occupazione di luoghi o edifici simbolici del capitalismo ha avuto ovviamente i suoi limiti, numerici e di durata. Sono spaventati, però, dall’influenza più ampia che il movimento potrebbe avere su altri settori della società. Scritta proprio per i poteri forti, la rivista inglese Economist descrive senza giri di parole la prospettiva di questo tipo di protesta. ‘Nella maggior parte delle lotte manca l’appoggio della classe dei lavoratori, che in Grecia ha paralizzato il paese… Questo rappresenta un fatto decisivo. Queste lotte potrebbero rappresentare una minaccia per i governi eletti solo se avverranno dei cambiamenti su questo terreno… Avendo dietro di sé più muscoli, i movimenti di protesta potrebbero anche cambiare il mondo, anche se ciò potrebbe non essere di vantaggio per nessuno’ (articolo del 22 ottobre).

A Oakland tuttavia il movimento ha già fatto un passo importante proprio in quella direzione. Il 2 novembre 20mila lavoratori e giovani sono scesi in piazza in risposta a un appello di Occupy Oakland per uno sciopero generale. E’ stata la repressione scatenata dalla polizia contro le manifestazioni - Scott Olson, veterano della guerra in Iraq, ha avuto il cranio rotto da una manganellata - a spingere il movimento ad alzare il livello dello scontro. Insegnanti sono usciti delle scuole, dipendenti pubblici in massa si sono messi in malattia e il porto è rimasto chiuso, circondato da migliaia di manifestanti. Sugli striscioni si leggeva This is our city and we can shut it down (E’ la nostra città e la possiamo chiudere). Lo sciopero di Oakland ha dimostrato la forza dei lavoratori organizzati e come questi possono minacciare i profitti delle classi dominanti. Come ha scritto l’Economist è proprio ciò che queste temono e dunque Oakland dovrebbe indicare una prospettiva al movimento Occupy.


Un programma anticapitalista per il movimento Occupy
(Socialist Alternative, sezione USA del CWI)

- Tasse sui ricchi. Che la crisi la paghino i banchieri

- Massicci investimenti per creare lavoro e un piano di lavori pubblici finanziato dalle tasse sui profitti del grande capitale

- Un progetto di emergenza per sviluppare energia pulita e ricostruire l’economia. Un piano per la creazione di posti di lavoro nei settori della scuola, della sanità e ovunque sia socialmente necessario come via di uscita dalla crisi. Un piano discusso democraticamente e basato sul controllo e sulla gestione da parte dei lavoratori

- Stop alle guerre e riduzione drastica della spesa militare

- Rompiamo il potere di Wall St. Banche e istituzioni finanziari che dominano gli Stati Uniti devono essere portate in mano pubblica e gestite democraticamente da rappresentanti elettivi dei lavoratori e dei ceti popolari.


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