mercoledì 15 febbraio 2012

Europa: No al ricatto del debito! No ai tagli! Una mobilitazione internazionale può battere la dittatura dei mercati

Dichiarazione congiunta delle organizzazioni del Committee for a Workers’ International (CWI) in Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna 



In questo 2012 da poco iniziato i mercati e i governi capitalistici al loro servizio avranno da offrirci ancora una volta soltanto miseria: una crisi economica sempre più profonda e la prosecuzione di una vera e propria guerra scatenata ormai da tempo contro la gente che lavora. E’ in questo scenario che viene calato dall’alto il Fiscal Compact, un nuovo trattato con pesanti misure di austerità siglato di recente dai leader europei. Le nostre organizzazioni in Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna, sostenute dai compagni del CWI in Francia, Germania e negli altri paesi europei, vogliono dare una risposta alla guerra di classe dichiarata contro i lavoratori e le future generazioni, in particolare nei paesi più colpiti dalla crisi. Una risposta al ricatto dei mercati e dell’Unione Europea e al mantra secondo cui non ci sono alternative a una resa incondizionata e meschina alla legge dello spread. In Europa, attuale epicentro del disastro, lavoratori e giovani sono stati colpiti dalle ondate successive della crisi e oggi hanno davanti a sé prospettive sempre più fosche. In particolare alla periferia dell’Eurozona – nei cosiddetti PIIGS – lo scenario più probabile è quello della disoccupazione di massa, soprattutto giovanile, di una lunga recessione e di una crescente miseria. Le politiche di austerità, portate avanti al solo fine di scaricare sui lavoratori i costi della crisi, non faranno altro che produrre ulteriore recessione. I nuovi governi ‘amici dei mercati’, come quello del Partito Popolare in Spagna e i cosiddetti governi tecnici imposti dagli speculatori in Italia e in Grecia, come prevedibile, già oggi vedono fallire le proprie politiche. E’ in atto un vero e proprio contagio e, aldilà dei temporanei ‘rimbalzi’ della Borsa, i titoli di Stato italiani e spagnoli vengono declassati e ciò si accompagna a un dilagare della crisi del debito, che colpisce anche le economie più forti dell’UE.


La Francia perde la sua tripla A insieme all’Austria, il cui futuro è legato alla devastante crisi finanziaria nei pae si dell’Est come Ungheria e Romania. Tutto ciò spinge verso una possibile catastrofe finanziaria a cui l’Euro, almeno nella sua attuale forma, non è in grado di sopravvivere. Fuori dal’Euro? Allo stesso tempo ci troviamo di fronte al riproporsi di politiche neocoloniali da parte delle maggiori potenze imperialistiche europee e in particolare dal capitalismo tedesco, portate avanti finora con la servile complicità delle classi dominanti nei paesi economicamente più deboli. La sfrontata proposta del governo tedesco di cancellare la sovranità greca sul proprio bilancio e di inviare un commissario europeo per sovrintendere alle politiche economiche di quel paese fa parte di queste politiche. In generale una delle caratteristiche che contraddistinguono questo stadio della crisi è la volontà dei potentati economici di aggirare le regole ‘democratiche’, rendendo ancora più manifesta che in passato la dittatura esercitata nella nostra società dalle banche e dalla grande impresa. I governi e la classe politica che difendono questo corrotto sistema capitalistico sono ridotti a marionette, pronte ad applicare i diktat dei mercati e della cosiddetta troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale). Il nuovo accordo intergovernativo varato dall’ultimo summit europeo, che impone ulteriori tagli alla spesa pubblica, ne è la più evidente conferma. I tentativi disperati dell’establishment, soprattutto in Irlanda, di evitare un referendum su tale accordo sono un’ulteriore espressione di questo metodo antidemocratico e del tentativo di imporre dall’alto le richieste del capitalismo internazionale. D’altra parte può capitare – lo abbiamo visto lo scorso autunno in Grecia con Papandreou – che alcuni governi tentino di utilizzare il referendum per esercitare un ricatto sulla popolazione, chiamandola alle urne e al contempo evocando lo spettro della catastrofe in caso di vittoria dei NO. Noi pensiamo che le uniche armi a nostra disposizione siano la forza dei lavoratori e dei giovani e un programma alternativo alle disastrose ricette di riforma del capitalismo. Tuttavia sosteniamo il diritto dei popoli di non pagare il debito e di dire NO ai tagli alla spesa sociale anche attraverso un referendum. E dunque appoggiamo quei milioni di lavoratori e di giovani che chiedono di esprimersi sul trattato europeo e dichiariamo già da ora che – se e dove i referendum avranno luogo – sosterremo in modo chiaro e inequivocabile il NO.

Reagire al ricatto dei mercati e dell’Unione Europea Il 2011 ha visto in diversi paesi europei vaste masse di lavoratori entrare in campo e lottare. In Grecia ci sono stati 7 scioperi generali (due dei quali di 48 ore), che si aggiungono ai 7 del 2010 e al primo del 2012 (il 7 febbraio), convocato velocemente mentre il Governo discuteva un nuovo pacchetto di tagli brutali. Questa reazione mostra la profonda rabbia dei lavoratori greci e la loro volontà di resistere, pur in condizioni disperate. In Portogallo c’è stato uno sciopero generale a novembre e una manifestazione con centinaia di migliaia di persone il 12 febbraio, in Italia scioperi e proteste da parte di settori sociali eterogenei. Il Portogallo, insieme con la Spagna, già l’anno scorso aveva visto la rabbia nei confronti delle banche manifestarsi nella fiammata rappresentata dagli indignados, che abbiamo visto esplodere anche in Italia il 15 ottobre scorso. E infine il governo rumeno di recente è caduto sotto la pressione delle masse scese in strada a Bucarest e in altre città. Il potere, oltre che attraverso un crescente repressione, ha risposto a queste manifestazioni con campagne allarmistiche e ricattatorie, in cui la prospettiva di un’uscita dall’Euro e dall’UE è stata brandita minacciosamente contro i lavoratori come una specie di ghigliottina, cercando di lucrare sulle loro comprensibili paure. Certo, stando dentro i rigidi parametri imposti dai mercati, l’uscita di alcuni paesi dall’Euro renderebbe ancor più profonda la crisi nell’intera Eurozona e innalzerebbe i livelli di disoccupazione e di povertà, in particolare nei cosiddetti PIIGS. E’ per questo che – a nostro avviso – compito dei lavoratori, dei movimenti di lotta e, dove è possibile, dei partiti di sinistra è sviluppare un programma per superare la crisi, sfidando e rompendo la filosofia dell’Euro e le compatibilità di mercato. Il primo passo da compiere in questa direzione è rappresentato dal rifiuto di pagare il debito agli avvoltoi dei mercati finanziari, ai cosiddetti ‘paesi creditori’ e alle istituzioni europee come la BCE. Questi enormi debiti infatti sono frutto della speculazione finanziaria, di una gestione criminale dell’economia, di rapporti clientelari dei vari governi neoliberali succedutisi negli anni, inclusi quelli guidati da sedicenti partiti socialisti in Spagna, Grecia, Portogallo e altrove, e successivamente sono diventati delle voragini a seguito delle operazioni di salvataggio delle banche, a cui la popolazione ha reagito con grande ostilità. Noi non siamo responsabili di quei debiti. Mentre gli investimenti dei lavoratori, ad esempio quelli pensionistici, devono essere tutelati, siamo contrari a qualsiasi tentativo di utilizzare soldi pubblici per chiudere i buchi prodotti dalla specu-lazione. Quei soldi, contro la logica malata delle classi dirigenti e i diktat delle istituzioni inter-nazionali, devono essere usati per creare milioni di posti di lavoro, consolidare un sistema di welfare dignitoso, istruzione e sanità pubbliche e per rilanciare lo sviluppo produttivo mediante adeguati investimenti. La nazionalizzazione delle banche e del sistema finanziario, così come dei settori chiave dell’economia, l’introduzione di forme di controllo e di gestione dell’economia da parte dei lavoratori sono la base per un piano di emergenza per la creazione di posti di lavoro e la difesa di standard di vita dignitosi.

Un piano in grado di innescare un processo di trasformazione sociale, di affrontare i problemi di fondo di questo sistema e di provare a mettere in atto misure di carattere socialista. Ovviamente ci dicono che se queste proposte venissero realizzate in un paese questo verrebbe automaticamente espulso dall’Eurozona. Ma in realtà sono proprio le politiche di austerità che spingono i paesi economicamente più deboli in un vicolo cieco, rendendo la prospettiva del default e dell’estromissione dall’Euro un fatto quasi scontato. Certo, in Grecia ad esempio, stare fuori dall’Euro senza mettere in discussione le compatibilità capitalistiche significherebbe, per i lavoratori, prolungare l’incubo e forse renderlo addirittura più spaventoso. Sotto l’attacco del padronato greco la svalutazione colpirebbe ulteriormente le condizioni di vita delle classi subalterne e falcidierebbe i loro risparmi, nonostante una formale indipendenza dall’UE. Ma il modo per evitare il disastro economico per chi vive del proprio lavoro non è affidarsi alle politiche del proprio governo, ma al contrario respingere ogni nuovo attacco ai nostri diritti e alle nostre condizioni di vita. Tenuto conto che peraltro quelle politiche in alcuni paesi serviranno soltanto a prolungare l’agonia e ad essere cacciati dall’Euro… un po’ più in là. Da un punto di vista capitalistico sembra che abbiamo di fronte due alternative: rimanere nell’Eurozona al prezzo della completa demolizione dello Stato sociale oppure uscirne e affrontare l’isolamento, un ulteriore declino economico e un’ondata di miseria senza precedenti. Ma per i lavoratori europei c’è anche una terza ipotesi ovvero cominciare a organizzarsi per difendere le proprie condizioni di vita e i propri diritti e rompere con le regole del sistema capitalistico. La resistenza che già si sta manifestando va estesa. Le lotte dei lavoratori devono trovare una forma di coordinamento internazionale, a partire dai paesi più colpiti dalla crisi. Per realizzare quella terza ipotesi e far saltare gli accordi europei e le nuove misure di austerità l’unità dei lavoratori greci, portoghesi, irlandesi, italiani e spagnoli nella lotta è un passaggio chiave.

Noi non abbiamo un approccio nazionalistico e dunque non pensiamo che basti uscire dall’Euro per risolvere i problemi. Anzi, pensiamo che le tensioni fomentate nel corso di questa crisi, in particolare ad esempio la propaganda dei capitalisti tedeschi, francesi, austriaci ecc. contro i lavoratori greci, rischino di stimolare pericolosi sentimenti sciovinisti e di dividere i lavoratori europei. Forze populiste e di estrema destra, nel vuoto di rappresentanza politica dei lavoratori lasciato dalla sinistra, possono trarne pericolosamente profitto, così come sta accadendo in Ungheria, Austria e in altri paesi. D’altra parte non ci illudiamo che i governi nazionali, al servizio delle classi dominanti, siano d’accordo con noi né tantomeno che prendano in considerazione le nostre proposte. Queste misure possono essere realizzate soltanto sotto la spinta di un movimento di lotta anticapitalista e internazionalista e da un governo che rappresenti e difenda gli interessi dei lavoratori. Un governo che rappresenti chi lavora sarebbe – a nostro avviso – l’unico in grado di reagire subito all’espulsione del proprio paese dall’Euro con un piano d’emergenza fondato sul controllo statale del commercio con l’estero e su misure per bloccare la fuga di capitali all’estero da parte delle multinazionali e di investitori in cerca di profitti, da realizzarsi sotto il controllo di rappresentanti dei lavoratori e dei ceti popolari eletti democraticamente e da far diventare un modello per cui lottare anche negli altri paesi europei. E’ su questa base che una proposta di integrazione europea, economica e sociale, può essere realmente praticata. Gli interessi padronali e capitalistici, al con-trario, rappresentano un barriera a tale processo. Noi pensiamo che unendo le forze dei lavoratori e un programma di alleanze sociali con altri settori colpiti dalla crisi in Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna, ma anche nelle economie avanzate come Germania, Francia e Gran Bretagna, una lotta che guardi agli obiettivi citati possa guadagnare velocemente un consenso diffuso in Europa. Se alcuni paesi verranno espulsi dall’UE e saranno in grado di federarsi e di perseguire quegli obiettivi, ciò potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova economia basata sulla programmazione e sul coordinamento internazionale e un passo avanti verso una vera e propria confederazione socialista europea, su base volontaria e col riconoscimento di pari dignità tra i paesi membri. Un’alternativa internazionalista alla crisi e alla miseria. Le giornate di mobilitazione internazionale organizzate dopo lo scoppio della crisi hanno dato un’idea della forza che i lavoratori e i giovani possono esercitare se si mobilitano in modo coordinato. Il 15 Ottobre 2011 il movimento Indignados/Occupy ha portato milioni di persone in strada in tutto il mondo. La Confederazione Europa dei Sindacati ha organizzato giornate di protesta (la prossima è fissata per il 29 febbraio) che hanno rivelato un potenziale significativo (anche se è chiaro che le manifestazioni simboliche non bastano). Noi abbiamo appoggiato e appoggiamo tutte queste iniziative, ma proponiamo che esse diventino scadenze preparatorie per uno sciopero generale europeo di una giornata. Pensiamo anche che eventuali nuovi scioperi generali contro l’UE e la BCE in Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna dovrebbero essere simultanei e coordinati e che questo sarebbe un primo segnale di forza e un passo verso l’unificazione delle lotte a un livello più generale. Purtroppo però il comportamento dei dirigenti della Confederazione Europea dei Sindacati nei propri paesi dimostra che non è loro intenzione portare avanti fino in fondo una lotta contro i tagli e i ‘sacrifici’ imposti ai lavoratori.

Questi anzi spesso affrontano le conseguenze della crisi avendo a che fare con dirigenti sindacali totalmente inadeguati, che rifiutano sistematicamente di mobilitare tutta la forza di cui il sindacato è capace contro l’aggressione dei mercati. In Grecia e in Portogallo i lavoratori e i giovani hanno dato tuttavia un’indicazione di come, organizzandosi e facendo pressione dal basso, sia possibile costringere i dirigenti sindacali a muoversi. Il CWI si batte per una trasformazione democratica del sindacato, per costruire al loro interno un’opposizione di sinistra, per sostituire le burocrazie sindacali con gruppi dirigenti combattivi, che rispondano al mandato conferito loro dai lavoratori e con funzionari che prendano lo stipendio medio dei propri iscritti. Ci battiamo perché gli scioperi generali e le lotte siano l’espressione della volontà dei lavoratori e vengano organizzati dal sindacato discutendone le modalità con loro attraverso assemblee nei posti di lavoro e nei quartieri e la costituzione di comitati di sciopero. Questo è l’unico modo per garantire che la lotta ottenga dei risultati e che a un certo punto non venga sacrificata ad altri interessi. Confidiamo nel fatto che, attraverso l’organizzazione e una serie di proposte come quelle che abbiamo cercato di delineare, si possa attrarre un numero significativo di lavoratori verso l’idea di un’alternativa e si possa combattere insieme a loro per realizzarla. Ma ciò richiede anche la nascita di organizzazioni politiche forti, fatte di lavoratori, di giovani, di coloro che vengono colpiti dalla crisi; organizzazioni sotto il controllo degli iscritti e capaci di costruire consenso intorno all’idea di un’alternativa ai tagli e allo stesso sistema sociale in cui viviamo; organizzazioni in grado di incanalare la rabbia di coloro che sono disgustati dall’attuale politica nella costruzione un’alternativa a quella politica, fondata su principi totalmente diversi. Per questo chiediamo a tutti quelli che incontriamo alle nostre iniziative, nelle lotte nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università di lavorare con noi per attrarre lavoratori e giovani a impegnarsi per questa prospettiva.

- Contro la dittatura di una minoranza privilegiata sull’intera società. Per una vera democrazia. A decidere del proprio futuro sia la gente che lavora, non i mercati! - I tagli alla spesa pubblica strangolano l’economia e sprofondano la nuove generazioni nell’incubo della disoccupazione. Chiediamo investimenti pubblici in lavoro, case popolari, istruzione pubblica e servizi sociali. - Per una soluzione internazionale fondata sulle lotte. Scioperi generali coordinati nei paesi colpiti dalla crisi. Verso uno sciopero generale europeo contro le politiche dell’UE. - Per un sindacato democratico e combattivo. Promuovere la lotta a partire dai posti di lavoro. Costruire una rappresentanza politica dei lavoratori e dei giovani che lottano. - Per un’Europa dei lavoratori, contro l’Unione Europea dei padroni! Lottiamo per una confederazione europea socialista di Stati liberi e indipendenti.

Xekinima (Grecia), Socialismo Revolucionario (Portogallo), Socialist Party (Irlanda), ControCorrente (Italia), Socialismo Revolucionario (Spagna)

Nessun commento:

Posta un commento