mercoledì 3 marzo 2010

Per un 8 marzo anticapitalista

Quest’anno ricorre il centesimo anniversario della Giornata Internazionale delle Donne. Ma oggi come oggi, cosa significa l’8 marzo per la maggioranza delle donne? Una giornata nella quale gli uomini ci regalano mimose? Una giornata per rilassarci ed essere coccolate? Una festa? O un anacronismo che non ha più niente a che vedere con la vita attuale delle donne?
di Christine Thomas (CWI ITALIA)


Fu nel 1910, al Congresso Internazionale delle Donne Socialiste a Copenhagen, che la socialista tedesca, Clara Zetkin, propose l’idea di fissare a livello internazionale una giornata all’anno da dedicare alle donne lavoratrici. Era stata ispirata da un movimento scoppiato negli USA l’anno precedente, quando migliaia di donne socialiste erano scese in piazza per rivendicare i loro diritti. Nel 1911 più di un milione di donne e uomini manifestarono in Danimarca, Germania, Svizzera e Austria. L’8 marzo, quindi, nacque come una giornata di lotta per migliorare la vita della donna lavoratrice. Il 25 marzo del 1911, un terribile incidente successo in una fabbrica newyorkese mise a luce il perché era necessario lottare. 140 lavoratrici, perlopiù immigrate, vennero bruciate vive, intrappolate da un incendio in una fabbrica pericolosa in cui il padrone privilegiava i profitti sulla sicurezza.

Nonostante tutti i miglioramenti dell’ultimo secolo, è fin troppo evidente che, sotto questo aspetto, poco è cambiato. Ogni giorno, anche nei cosiddetti paesi ‘avanzati’ come l’Italia, lavoratrici e lavoratori muoiono ancora nei luoghi di lavoro, come conseguenza dello sfruttamento e della caccia ai profitti. Magari fosse vero che, come dicono alcuni, le tradizioni dell’8 marzo non hanno più significato per le donne d’oggi. I fatti stessi testimoniano, purtroppo, che la lotta è ancora necessaria. Anche prima della crisi economica, che non ha affatto risparmiato le donne, il livello di occupazione femminile in Italia era uno dei più bassi d’Europa (solo il 46%). In un paese dove i salari sono già il fanalino di coda dell’UE, la busta paga media di una donna è intorno al 27% al di sotto della media maschile. E adesso, prima di poter andare in pensione, le donne devono sopportare più a lungo questi condizioni di sfruttamento, precarietà e povertà. Inoltre, i tagli ai servizi pubblici effettuati da questo governo nonché da quelli precedenti hanno sferrato un doppio colpo contro le donne lavoratrici: perdono direttamente i posti del lavoro, come nel ‘bagno di sangue’ della scuola, e allo stesso tempo la perdita di servizi come gli asili nido le costringe a lasciare il lavoro e tornare a casa.

Per quanto piacevoli siano le mimose e l’aromaterapia è chiaro che non bastano. Per contrastare lo sfruttamento e la discriminazione delle donne l’8 marzo va recuperata come una giornata di lotta. In Italia e altrove è stato proprio nei periodi di lotta di massa della classe lavoratrice, come per esempio negli anni ‘70, che le donne hanno conquistato i traguardi più importanti. Le donne stesse dovrebbero stare in prima linea nel lottare contro la propria oppressione ma l’unità della classe lavoratrice è imprescindibile per difendere i benefici già ottenuti e per fare avanzare la posizione economica e sociale delle donne. Storicamente le lavoratrici, nelle mobilitazioni dell’8 marzo non si sono limitate a richiedere pari diritti economici nei posti di lavoro, ma hanno contestato tutte le forme di oppressione a cui erano sottoposte dal capitalismo. Si sono battute contro le molestie sessuali, per il diritto di decidere del proprio corpo e per i diritti democratici. L’8 marzo del 1917 la rivoluzione russa venne innescata da una sollevazione di lavoratrici che chiedevano il pane, la pace e la terra. Il rovesciamento del capitalismo e del latifondismo in Russia rese possibile un vero balzo in avanti per le donne che ottennero, fra gli altri benefici, il diritto al divorzio e all’aborto gratuito, la parità di salario e un periodo di maternità retribuito di 16 settimane. Allo stesso tempo il governo bolscevico mise a punto una rete di asili nido, di mense e lavanderie comunali e altri servizi pubblici mirati ad alleviare il carico domestico delle donne russe.

Se bisogna lottare per difendere ed estendere ogni conquista, la discriminazione e l’oppressione delle donne non saranno mai superate finché esisterà il capitalismo. Da un lato i capitalisti, per difendere e aumentare i loro profitti, sfruttano le lavoratrici nei posti di lavoro. Dall’altro sfruttano il lavoro gratuito effettuato dalle donne nella famiglia. Il sistema capitalista si basa su disuguaglianze di potere e ricchezza che contribuiscono a conservare e rafforzare l’oppressione di genere. Non a caso la violenza domestica è la prima causa di morte delle donne in Italia e nel mondo. Il capitalismo riduce tutto a oggetto da comprare e vendere sul mercato, incluso i corpi femminili, e così perpetua il sessismo, la discriminazione e la violenza contro le donne. L’8 marzo, quindi, dovrebbe essere una giornata di lotta anticapitalista, che guardi a una rottura con questo sistema basato sullo sfruttamento e sulla diseguaglianza e all’istituzione di un sistema socialista.







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