mercoledì 18 agosto 2010

Italia - Oggi una forte polarizzazione. Domani un’ondata di lotte?

Nelle ultime settimane l’Italia ha visto un susseguirsi costante di sviluppi del quadro politico come non accadeva da decenni. Lo scontro tra FIAT e sindacato, la crisi della coalizione di centrodestra e l’accumulo di forze creatosi a sostegno della candidatura di Nichi Vendola a nuovo leader del centrosinistra si stagliano sullo sfondo di un paese in cui – nonostante i dati sulla crescita del PIL, in particolare nel settore industriale – la caduta delle condizioni di vita dei lavoratori e delle classi subalterne non accenna ad arrestarsi.
di Marco Verruggio, Controcorrente


La scorsa settimana due lavoratori hanno ucciso i propri datori di lavoro, uno dopo essere stato licenziato, l’altro per paura di essere licenziato. Erano di dipendenti di piccole aziende, privi di una prospettiva di lotta collettiva e abbandonati a se stessi, che hanno reagito con la disperazione. Tuttavia questi due casi rappresentano il sintomo di un fenomeno sociale di ampie dimensioni, che può sfociare, se viene opportunamente canalizzato, in un’esplosione sociale di dimensioni ben più ampie rispetto a quelle che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.

In un quadro di polarizzazione sociale, che tende a far emergere – su entrambe i versanti della lotta di classe – le posizioni più decise, è possibile ricorrere a rivendicazioni di carattere transitorio, sapendo di avere maggiore attenzione che in passato da parte dei lavoratori. A Genova, dopo l’ennesima crisi finanziaria del Teatro dell’Opera e la minaccia di chiuderlo per quattro mesi mettendo i dipendenti in cassa integrazione, sono intervenuto a nome di Rifondazione Comunista chiedendo che il Teatro –g ià in mani pubbliche – venisse messo sotto il controllo dei lavoratori, l’unico soggetto in grado di costruire un piano di rilancio e di realizzarlo. Il portavoce del sindacato più rappresentativo (circa 70 iscritti su 300 dipendenti), dopo aver assistito alla conferenza stampa, ha riportato la nostra proposta nell’assemblea sindacale tenutasi il giorno stesso e circa 240 lavoratori presenti ne hanno discusso apprezzando in generale il nostro intervento.

Nuovi sviluppi dello scontro alla FIAT.La FIOM resiste.
La vicenda FIAT è un esempio di questa tendenza alla polarizzazione. Chi ne esce male – almeno per il momento – sono coloro che su Pomigliano hanno cercato di tenere una posizione intermedia, in particolare CISL e UIL, che dopo aver ‘dato il sangue’ per firmare e aver rotto con la FIOM (i metalmeccanici della CGIL), oggi vengono presi a schiaffi. L’AD Marchionne infatti, dopo aver incassato il sì a Pomigliano, ha annunciato il trasferimento della produzione della FIAT L-O dallo storico stabilimento Mirafiori (Torino) alla Serbia e la creazione di una newco a Pomigliano, non affiliata a Confindustria e dunque non obbligata al rispetto del contratto nazionale dei metalmeccanici. Un annuncio che colpisce anche il leader della CGIL Epifani, che aveva tentato di ricucire con CISL e UIL richiamando la FIOM a posizioni più concilianti e la stessa Confindustria. Se la FIAT si sfila dal contratto nazionale firmato da quest’ultima, rischia di creare un precedente pericoloso, così come – in modo simmetrico – la FIOM, col suo atteggiamento combattivo, rischia di diventare un esempio destabilizzante per la CGIL. La differenza è che la leadership degli industriali – a differenza di quanto ha fatto Epifani con la FIOM – non ha criticato pubblicamente Marchionne.

L’atteggiamento di quest’ultimo sta determinando una reazione significativa. I giornali riportano le dichiarazioni di alcuni operai di Pomigliano che al referendum avevano votato sì al nuovo piano aziendale e che, di fronte a questa nuova aggressione, accusano la FIAT di esagerare. Pochi giorni prima della trionfale accoglienza tributata a Marchionne da Obama lo stesso direttore di Repubblica Eugenio Scalfari, uno dei massimi opinion maker italiani, ha denunciato la politica del manager italo-canadese, affermando che "più che essere Marchionne a salvare la Chrysler è stato Obama a salvare la FIAT".

Dopo la decisione dell’azienda di scorporare il settore auto dal resto del Gruppo FIAT AUTO potrebbe diventare in pochi anni una bad company, mentre sulla nuova società FIAT Industrial SPA si concentrano gli investimenti e le nuove linee di credito concesse dalle banche. In questo senso il balzo dell’utile netto a 113 mld di euro nell’ultimo trimestre e il crollo delle vendite (in Italia a luglio -36%, dopo la fine degli incentivi statali) non rappresentano una contraddizione ma al contrario la chiave di una politica. Come ha scritto recentemente il Financial Times, Marchionne è ‘l’oracolo dell’industria automobilistica mondiale’, perché riesce ad aumentare i profitti venendo meno auto. Oggi, in questo quadro e per queste ragioni, penso che la proposta di nazionalizzare la FIAT, che è un gruppo privato, ma di fatto sopravvive da sempre grazie ai finanziamenti statali, non suonerebbe come un semplice slogan.

D’altra parte la FIOM resiste al tentativo di isolamento ai sui danni da parte della FIAT , del Governo, di gran parte della stampa, della magistratura e della stessa leadership della CGIL. I licenziamenti politici a Melfi, Termoli e Mirafiori e le inchieste della magistratura, come quella che ha coinvolto 19 lavoratori genovesi della Fincantieri per l’occupazione dello stabilimento di Sestri Ponente lo scorso dicembre non sembrano aver intimorito il nuovo segretario Maurizio Landini, subentrato da poco all’uscente Gianni Rinaldini, oggi leader dell’opposizione interna alla CGIL. L’ultimo Comitato Centrale della FIOM ha deciso di convocare una grande manifestazione contro il Governo Berlusconi il prossimo 16 ottobre, una manifestazione dei metalmeccanici ‘aperta alla partecipazione sociale dell’opinione pubblica’, una formula un po’ arzigogolata per dire che si tratta di un’iniziativa a cui sono chiamati tutti i lavoratori e le forze politiche, dunque una manifestazione che accentua il ruolo politico della FIOM. La FIOM parteciperà anche alla manifestazione europea del 29 settembre e inoltre lancerà una campagna straordinaria di ‘proselitismo’, dunque una sorta di chiamata alle armi per gli ‘amici della FIOM’ che mira evidentemente a consolidare il patrimonio di simpatia e di solidarietà acquisito dopo lo scontro con Marchionne (e dopo anni di resistenza).

Lo scontro Berlusconi-Fini e la crisi del Governo

Anche se la stampa tende a presentarla come uno scontro di personalità la rottura di Berlusconi con Fini non è estranea a questo quadro. Il Presidente della Camera rappresenta un’ala del centrodestra che ha radici anche in alcuni settori popolari, in particolare nel pubblico impiego e in alcune fasce di sottoproletariato nel Sud del paese. Settori che ieri sono stati colpiti duramente dalle politiche economiche di Tremonti e brunetta e che domani rischiano di essere massacrati dal federalismo voluto dalla Lega Nord. Non è un caso che i suoi principali luogotenenti oggi provengano dalla Sicilia (Granata e Briguglio) e dalla Campania (Bocchino, Urso), mentre i suoi ex colonnelli passati con Berlusconi hanno la propria base elettorale nel nord (La Russa) e soprattutto nel centro (Gasparri, Alemanno, Matteoli). Né è un caso che su Pomigliano Fini abbia taciuto. Il Presidente della Camera mal sopporta il populismo nordista di Bossi e Berlusconi (il quale ha perso da tempo anche il Presidente della Regione Sicilia Lombardo e una parte dei suoi ex fedelissimi siciliani, primo tra tutti Micciché) e dunque da una parte guarda alla destra liberale europea, dall’altra interloquisce con Casini (UDC), Rutelli (cattolico fuoriuscito dal PD), Montezemolo (ex presidente di Confindustria), protagonisti della rifondazione di un polo di centro, a cui i sondaggi attribuiscono un potenziale 22% dell’elettorato. Anche qui non c’è contraddizione ma piuttosto una sorta di riedizione riveduta e corretta della tradizionale alleanza, sviluppatasi tra gli anni ’50 e gli anni ’70, tra la destra democristiana e la parte più istituzionale del vecchio MSI (il partito neofascista da cui Fini proviene).

D’altra parte non si può dire che Fini abbia costruito chissà quale operazione politica. Di fatto ha regalato più del 50% del suo ex partito a Berlusconi e se oggi può esercitare un potere di ricatto (alla Camera senza di lui il centrodestra non ha una maggioranza), è ben vero che Berlusconi continua a mantenere l’iniziativa. Pochi giorni fa ha annunciato che a settembre presenterà un pacchetto di misure su cui chiederà la fiducia (tra cui giustizia e federalismo) e Fini dovrà scegliere: tornare indietro sul tema della legalità oppure assumersi la responsabilità di dar cadere il Governo, sapendo che alle elezioni rischia di pagare un prezzo. D’altra parte anche il PD, principale forza di opposizione, sta facendo di tutto per evitare le elezioni anticipate, arrivando a proporre un governo tecnico e ventilando addirittura la possibilità che a presiederlo sia l’attuale ministro dell’Economia Tremonti, cioè l’autore della Finanziaria contro cui il PD sta tuonando da mesi definendola iniqua.

Il risultato è paradossale: il capo di un Governo diviso e travolto dagli scandali lavora per andare a elezioni anticipate, mentre l’opposizione lavora per evitarle. Ma alla fine la possibilità di un governo tecnico sembra essere abbastanza remota e la stampa dà abbastanza per scontato che le elezioni possano svolgersi a novembre o più probabilmente (perché la Lega prima che cada il Governo mira a varare il federalismo fiscale) a marzo. Tuttavia c’è un’incognita che nessuno prende in considerazione: lo scontro sociale. Se l’autunno fosse ‘caldo’ la solidarietà di classe della borghesia potrebbe prevalere e il richiamo a un governo di unità nazionale (quello che l’ex democristiano Casini chiede da tempo) potrebbe avere successo.

La sinistra in declino e la sinistra che piace a Confindustria.

Intanto cosa fa la sinistra? Da una parte PRC e PDCI si apprestano ad affrontare forse il primo vero ‘autunno caldo’ della loro storia discutendo di se stessi, prima nel congresso della Federazione, poi nei congressi dei rispettivi partiti. Un dibattito caratterizzato da numerosi paradossi e da una vera e propria involuzione democratica. In primo luogo è evidente a tutti, e in particolare agli iscritti, che per decidere di sciogliere due partiti e dare vita a un nuovo soggetto politico bisognerebbe prima convocare i congressi (di scioglimento) dei partiti e solo in un secondo momento quello della Federazione.
Ferrero e Diliberto obietterebbero che qui non si tratta di uno scioglimento, ma tale affermazione è smentita dallo stesso iter del congresso della Federazione. Il documento politico (a tesi) e il regolamento infatti vengono varati dal coordinamento nazionale della Federazione, che dovrebbe essere un semplice organismo esecutivo. Senza passare negli organismi politici nazionali dei due partiti. Per presentare emendamenti o tesi alternative inoltre è necessario raccogliere la sottoscrizione di almeno il 5% del Coordinamento e per la prima volta non viene contemplata la possibilità di raccogliere firme tra gli iscritti. Dunque se una posizione alternativa avesse il sostegno di 10mila iscritti non potrebbe essere rappresentata nella discussione congressuale.

Tuttavia, aldilà delle questioni tecniche, il vero problema sta nelle tesi che dopo aver steso una cortina fumogena di buone intenzioni - blocco dei licenziamenti, un polo bancario pubblico (senza spiegare come lo si costruisce) e la BCE sottoposta a un ‘controllo democratico’, ripubblicizzazione dei servizi privatizzati (anche qui: come?), salario garantito, lotta contro la precarietà ecc. - arriva al punto dolente: la proposta di una ‘coalizione democratica per sconfiggere Berlusconi e Bossi’ (dunque aperta a Fini, colui che nel 2001 a Genova portava la sua solidarietà a polizia e carabinieri  visitando la sala comando durante i pestaggi nelle strade), fondata sulla ‘più rigorosa difesa dei diritti democratici,  sociali e dei lavoratori e delle lavoratrici’. Insomma la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Su un altro versante la stella nascente della sinistra italiana è Nichi Vendola. Ex leader dell’ala bertinottiana all’ultimo congresso nazionale del PRC, sconfitto da Ferrero, un anno dopo uscì da Rifondazione per fondare Sinistra e Libertà, diventata poi Sinistra Ecologia e Libertà e oggi affiancata dalle ‘Fabbriche di Nichi’. Sostenitore delle alleanze col centrosinistra, primo ad aprire addirittura all’UDC (ex alleato di governo di Berlusconi), Vendola è stato soprannominato l’Obama bianco e in effetti ha alcune caratteristiche che lo avvicinano al premier USA. Oltre all’indubbio carisma personale Vendola, pur essendo un politico di carriera (vicepresidente della Federazione Giovanile del vecchio PCI, giornalista di Rinascita, poi deputato per quattro legislature, per due volte Presidente della Regione Puglia) unisce un certo carisma ad alcuni elementi di ‘diversità’: è gay e meridionale, il che in Italia fa sì che la sua autocandidatura a leader del centrosinistra venga percepita da molti come un fatto rivoluzionario. Il suo populismo di sinistra, per certi versi speculare al berlusconismo, paragonato al burocratismo di un Prodi o di un Bersani lo rendono affascinante agli occhi dei suoi sostenitori più fedeli, perlopiù giovani benpensanti moderatamente progressisti.

Ma la sua forza sta soprattutto nel fatto di aver battuto due volte il centrodestra alle elezioni regionali pugliesi dopo aver sconfitto i candidati del PD nelle elezioni primarie. Esattamente ciò che oggi Vendola vuole rifare a livello nazionale presentando la propria candidatura a candidato presidente del centrosinistra alle prossime elezioni politiche. Una candidatura che una parte della borghesia italiana sta utilizzando come grimaldello per rifare il look alla politica italiana. Vendola ha tra i suoi sponsor Don Verzè, il prelato padrone di buona parte della sanità privata e coltiva buoni rapporti con il mondo cattolico. 

Negli stessi giorni in cui si consumava lo scontro a Pomigliano Vendola riceveva applausi alla Confindustria di Vicenza e gli elogi della Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (‘E’ il miglior governatore del sud. Le mie aziende in Puglia fanno ottimi affari’). Poco dopo riceveva anche l’investitura di Repubblica, avendo già tra i suoi sponsor Michele Santoro (il giornalista RAI cacciato da Berlusconi e poi rientrato alla TV di Stato) e Il Manifesto, storico quotidiano dell’estrema sinistra. Ciò non gli impediva di correre ai cancelli della FIAT per solidarizzare con gli operai, forse dimenticandosi di quando nel Febbraio 2009, in visita a Genova aveva detto che ‘gli operai pensano più alla cocaina che alla FIOM’. E tuttavia nel deserto della sinistra italiana la sua candidatura potrebbe attrarre l’interesse di molti lavoratori e attivisti di sinistra, attratti da una merce scadente ma tutto sommato ben confezionata e soprattutto dal miraggio di una vittoria. Tanto più che la federazione della Sinistra, pur criticando Vendola, lavora per un’alleanza con lui.

Potremmo dire che, anche se la crisi sta colpendo fortemente la classe operaia, da un altro punto di vista la situazione potrebbe essere favorevole. La vertenza alla Fiat ci mostra che la borghesia italiana è in difficoltà. Non hanno i politici che possono rappresentare i loro interessi come vorrebbero e una volta che il principale gruppo industriale - FIAT - decide di prendere l'iniziativa se stesso, deve affrontare le forti resistenze dei metalmeccanici e la solidarietà di grandi strati della popolazione. In autunno, la sinistra potrebbe approfittare della situazione. Il 29 giorno di settembre europea di azione (la Cgil ha annunciato che organizzerà una grande manifestazione, ma per fare seriamente si dovrebbe indire uno sciopero generale) e, ancor più, il 16 ottobre una manifestazione dei metalmeccanici, darà la possibilità di esprimere il nostro sostegno e la nsotra solidarietà ai lavoratori metalmeccanici della Fiom e alla loro direzione che sono attualmente in prima linea nella lotta. Noi sosteniamo che la loro lotta possa mettere in discussione il potere dei manager della FIAT e possa solevvare la questione della "nazionalizzazione della Fiat sotto il controllo dei lavoratori".

Se ci saranno elezioni anticipate dovremo sollevare la questione di "chi rappresenta la classe operaia?" .Più concretamente, sfidando la leadership del RPC e di SEL (e anche del PD) a chiarire le loro intenzioni. La questione è ormai sempre più richiesta da alcuni dirigenti ed ex dirigenti del movimento operaio ', ma sottintendono la rappresentanza parlamentare e non un partito di lotta e che cerchi di realizzare lo storico scopo socialista e comunista del movimento operaio italiano. Questo vale anche per le dirigenze dei due vecchi partiti di sinistra perché, mentre noi non sappiamo esattamente che cosa faranno, è improbabile che essi si organizzino per sostenere e dare alle lotte un riferimento politico. Questo perché sono molto più propensi a concentrare la loro attenzione esclusivamente su come guadagnare qualche seggio in Parlamento. Tuttavia, pur prestando attenzione a ciò che questi leader stanno facendo, i marxisti non hanno bisogno di muoversi, ma intervenire e fare ciò che deve essere fatto.

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