giovedì 21 ottobre 2010

Il popolo del 16 ottobre e il vuoto politico a sinistra

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La splendida manifestazione del 16 ottobre ha dato una scarica di adrenalina a tanti lavoratori e a tanti militanti delusi da anni di arretramenti, subiti senza che i gruppi dirigenti del sindacato e dei partiti di sinistra muovessero un dito e giustificati sempre con la logica del ‘meno peggio’.
di Marco Veruggio, Direzione Nazionale PRC/Associazione ControCorrente 




Da anni non vedevamo un impegno così determinato, un fiorire di iniziative spontanee nei circoli dei malati partiti della sinistra come abbiamo visto in queste ultime settimane. I gruppi dirigenti della sinistra dovrebbero chiedersi il perché. La risposta non è difficile. La FIOM ha dimostrato che si può stare saldamente coi piedi per terra e contemporaneamente dire NO a Confindustria e al Governo e resistere al ‘fuoco amico’ del centrosinistra; che si può essere classe operaia e al contempo rappresentare un punto di riferimento per studenti, immigrati e intellettuali, movimenti anticapitalisti e in difesa della democrazia; infine che si può perfino riunire in un’unica piazza tutti i rimasugli della sinistra senza avere convocato estenuanti tavoli di trattativa tra generali senza truppe e senza aver stilato interminabili piani di battaglia in cui ciascuno vede ciò che gli garba e fa finta di non vedere ciò che gli rimane indigesto. Lo ha fatto facendo leva sulla credibilità guadagnata col prolungato, saggio e orgoglioso impiego della propria forza a difesa dei propri iscritti (e non solo) contro i colpi provenienti da Confindustria e da governi ‘amici’ e nemici. Proprio ciò che la sinistra italiana - senza eccezioni - non ha saputo fare in questi anni e continua a non voler fare oggi.

La FIOM supplente della sinistra che non c’è

In questo senso non credo che Landini e Rinaldini, quando dichiarano di ‘non volersi sostituire ai partiti’, stiano bluffando. E’ l’assenza di una seppur minima rappresentanza politica dei lavoratori che in qualche modo ha costretto la categoria della CGIL con più peso e più storia a giocare un ruolo di supplenza politica, tanto più di fronte a un tentativo bipartisan di isolamento e con una sinistra che, pur di non entrare in rotta di collisione col PD, guarda dall’altra parte perché - come chi faccia indigestione senza aver mangiato - riesce a soffrire di ‘cretinismo parlamentare’ pur stando fuori dal Parlamento. Le migliaia di bandiere rosse di PRC e PDCI viste il 16 non devono ingannare: si tratta di un popolo mobilitato dal richiamo della FIOM, mentre i suoi leader, subito dopo il rituale appello alla lotta per la difesa del contratto nazionale sono tornati alla lotta che è loro più congeniale, quella per la riconquista della poltrona. In questa condizione la FIOM ha cercato di rompere l’isolamento nel modo più logico, cioè aprendo la manifestazione a tutti coloro che rappresentano interessi in qualche misura omogenei a quelli dei metalmeccanici e dei lavoratori in generale, dal movimento studentesco ai comitati per l’acqua pubblica, dai centri sociali al popolo viola.

Inevitabilmente il discorso finale di Landini ha assunto più i connotati di una relazione da leader politico o da segretario generale della CGIL che da sindacalista dei metalmeccanici. C’è un’analisi complessiva di una società e di un ciclo storico del capitalismo (‘Per 20 anni ci hanno detto che il mercato avrebbe risolto tutti i nostri problemi, ma non è andata così’; ‘L’Italia è una repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro’); c’è un obiettivo strategico ‘una società così è inaccettabile e bisogna ribellarsi per cambiarla’); e c’è un programma che parte sì dalla politica economica e dalle relazioni industriali (intervento pubblico, voto su contratti e accordi sindacali), ma poi va ben oltre (proprietà pubblica dell’acqua e dei beni comuni, ritiro delle truppe dall’Iraq, difesa della legalità e della Costituzione) e infine vengono indicati gli strumenti di lotta, a partire dalla richiesta dello sciopero generale che Landini, da sindacalista consumato e con un po’ di malizia, butta lì al termine del suo intervento, subito prima che tocchi al segretario generale della CGIL Epifani. E quando Epifani prende la parola migliaia di persone scandiscono lo slogan ‘sciopero, sciopero ge-ne-rale’ scritto anche su un enorme striscione che nel frattempo si è levato sulla piazza, mentre molti (non soltanto le ‘frange isolate’ di cui ha parlato la stampa) fischiano, così che Landini e Cremaschi devono mettersi a fianco di Epifani per consentirgli di andare avanti.

La sinistra che non c’è (e non ci sarà)

Al superbo spettacolo della piazza ha fatto riscontro la meschina figura della politica. Da una parte il Partito Democratico che - tanto per cambiare - si rifugia nella formula della partecipazione ‘a titolo personale’: un ombrello che copre tutti, da chi ha definito la manifestazione ‘una grande ammucchiata di cariatidi, anime belle, speculatori e approfittatori politici’ (Francesco Boccia) a chi, come l’ex segretario nazionale della CGIL Cofferati, ha sostenuto la FIOM su Pomigliano e il 16 era in piazza. Fin qui comunque nulla di cui stupirsi. Ma a sinistra? Qualche giorno prima della manifestazione due dirigenti della FIOM di Roma iscritti a Rifondazione, Christian Di Nicola e Ciro Risolo, hanno scritto una lunga lettera a Ferrero, Grassi e Diliberto chiedendo loro per l’ennesima volta di prendere una posizione chiara sul sindacato. I due ricordano che, dopo aver evitato accuratamente di sostenere la FIOM nel congresso della CGIL, i dirigenti della Federazione stanno altrettanto accuratamente sorvolando sul fatto che all’ultimo Comitato Centrale della FIOM il documento della destra sia stato sostenuto, tra gli altri, anche dall’ex area di Lavoro Società, che annovera tra i suoi dirigenti esponenti di spicco della Federazione e dello stesso PRC. La laconica risposta di Ferrero precisa che ‘il PRC non ha mai preso posizione contro la FIOM’ e che lui non risponde per i comportamenti ‘individuali’ degli iscritti del PRC o della Federazione. Dunque l’escamotage dell’ ‘a titolo personale’ non è una prerogativa del solo PD. Anche da noi basta fare le cose ‘a titolo personale’ e tutto è ammesso, una posizione che Ferrero evidentemente ha maturato soltanto dopo aver contribuito nel 2006 a cancellare dalle liste Marco Ferrando per alcune sue dichiarazioni ‘fuori linea’ e due anni dopo a espellere Franco Turigliatto per aver votato in modo difforme dal gruppo PRC al Senato sui finanziamenti alle missioni militari. Come giustamente Di Nicola e Risolo mettono in evidenza l’atteggiamento del PRC nei confronti della FIOM oscilla tra il girarsi dall’altra parte e il ‘codismo’. Infine c’è da registrare la presa di posizione di Marco Ferrando, che - intervistato durante la manifestazione del 16 - ha dichiarato che il problema più grande è ‘evitare la svendita di quella manifestazione’, dando a intendere che il gruppo dirigente della FIOM non è troppo affidabile, col tipico riflesso settario di chi, quando qualcuno fa un passo avanti, deve necessariamente rimarcare che non è abbastanza e che l’ombra del tradimento incombe sempre sul movimento operaio.

Dare un seguito al 16 ottobre

In realtà il vero problema è - almeno così mi sembra - che oggi tutti coloro che hanno contribuito al successo della manifestazione hanno la responsabilità di darle un seguito. Il 16 ottobre ha aperto una prospettiva, sia sul versante sindacale che su quello politico. Sul versante sindacale possiamo dire che la manifestazione ha ribadito che all’interno e all’esterno della CGIL vi sono migliaia di lavoratori che sono disponibili a rilanciare l’idea di un sindacalismo di classe combattivo. Dentro la CGIL la spinta propulsiva fornita dalla manifestazione può servire a sviluppare e rafforzare La CGIL che vogliamo, superando anche le resistenze e i dubbi che si manifestano in una squadra in cui ci sono pochi attaccanti e tanti aspiranti centrocampisti. E’ un compito che richiede non solo un impegno di carattere organizzativo, ma anche l’elaborazione di una proposta di soluzione della crisi dal punto di vista dei lavoratori - ciò che manca alla CGIL – e l’adozione di strumenti di lotta efficaci. In questo caso le indicazioni di merito contenute nella relazione di Landini e in altri interventi costituiscono un punto di partenza avanzato e la richiesta dello sciopero generale è l’asse attorno al quale si possono aggregare i settori sociali più avanzati, a partire dai più combattivi lavoratori e delegati della CGIL e del sindacalismo extraconfederale. Con loro bisognerà discutere cosa vuol dire fare un ‘vero’ sciopero generale, quali sono gli interlocutori a cui rivolgersi e che cosa chiedere loro.

Tuttavia il terreno fondamentale su cui è necessario dare un seguito al 16 ottobre è quello della politica. Lo dico sulla base di un’osservazione che credo sia condivisa dallo stesso gruppo dirigente della FIOM (sennò non si capirebbe il modo in cui si è mosso Landini in questi mesie la sua insistenza sul tema della rappresentanza politica) e cioè che – per quanto la FIOM abbia dimostrato una forza e un consenso eccezionali – alla lunga, se non rompe la gabbia in cui sostanzialmente tutte le forze politiche stanno cercando di chuderla – pur in forme e con livelli di responsabilità molto diversi – essa è destinata a capitolare. La politica del doppio binario – sindacale e politico – non può andare avanti all’infinito. Dunque quali sono gli sviluppi che possiamo aspettarci e soprattutto quelli più auspicabili? Per rispondere a questa domanda va fatta una premessa e cioè che nessuna delle forze politiche della sinistra e dei progetti attualmente in campo è in grado di rappresentare la folla di Piazza San Giovanni. Non lo è la Federazione della Sinistra, perché risponde a un’altra logica ovvero il mutuo soccorso tra ex parlamentari trombati e vive – chissà se se ne rendono conto – in una dimensione parallela. Il volantino distribuito in piazza sabato scorso è emblematico, perché inizia dicendo ciò che è fondamentale per Ferrero e Diliberto – aprire la trattativa col PD – e finisce con ciò che sarebbe necessario per i lavoratori. Aldilà del contenuto, vedi il falso ideologico contenuto nel definire il governo un governo Marchionne-Berlusconi (come se il PD non fosse pieno di amici della FIAT) è il metodo che sorprende. Si può essere tanto fuori dal mondo da non capire che, col livello di discredito in cui è caduta la politica, l’unica possibilità di riprendere un confronto con la nostra base è presentare la politica come uno strumento per risolvere i problemi e non i problemi come lo sgabello per mandare qualcuno in Parlamento? ControCorrente il 16 ottobre ha scelto di presentarsi in strada cercando di sintonizzarsi con quello che era lo stato d’animo prevalente e di sintetizzarlo in un uno slogan semplicissimo: Voglio una sinistra come la FIOM. Coi lavoratori, combattiva, coerente. Il nostro obiettivo era rivolgerci a qualche migliaio di persone, un campione piccolo ma significativo di quella piazza, per lanciare un sasso nello stagno e vedere quale sarebbe stata la loro reazione. Devo dire che è stata eccezionalmente positiva. Se quello slogan è approdato anche sulla terza pagina del Manifesto e sul Corriere della Sera online è perché qualcuno si è reso conto che esso esprimeva una percezione diffusa. D’altra parte non è che bisognava essere dei geni per capirlo. E’ sufficiente vivere nel mondo reale, invece che nel reality show dei partiti di sinistra.

Nasce un ‘partito della FIOM’?

D’altra parte – nonostante le ovazioni raccolte da Vendola in piazza – non credo che neanche lui sia in grado di dare risposte alla folla di Piazza San Giovanni. E’ vero che Vendola sta lanciando un’OPA sul popolo del 16 ottobre e non è neanche escluso che possa temporaneamente raccogliere dei frutti. Ma la politica non si basa soltanto sulla capacità di di confezionare una linea o di parlare alle masse. Se poi non sei in grado di rappresentare fedelmente gli interessi di quelle masse fai poca strada: Obama docet! E francamente dubito che colui che Emma Marcegaglia definisce ‘il miglior governatore del Sud’, che entusiasma la Confindustria di Vicenza e che dichiara al Sole24Ore che Marchionne dovrebbe essere un po’ più ‘patriottico’, possa al contempo difendere il mondo del lavoro. A meno che non si abbracci l’idea che non esiste più la lotta di classe ma l’interesse comune, cioè esattamente ciò che la FIOM ha dimostrato essere una favola degli anni ’90. D’altronde se si riascolta l’intervento finale di Landini e lo si paragona alle interviste rilasciate copiosamente da Vendola negli ultimi mesi non sfugge la distanza: da una parte poche idee chiare, forti, espresse con semplicità. Dall’altra un diluvio di parole ammiccanti, giocate furbescamente sul filo dell’equivoco. Dunque il primo sviluppo auspicabile della manifestazione del 16 ottobre è che essa contribuisca a togliere di mezzo le produzioni scadenti che i gruppi dirigenti della sinistra italiana stanno cercando di ammollarci, dall’Isola dei Famosi Sinistra di Ferrero e Diliberto alle linde fabbriche di Nichi dove non cola una goccia di olio (né di sudore…).

A differenza di Marco Ferrando noi non abbiamo l’ansia che Landini e Rinaldini tradiscano. E trovo francamente poco utile interpretare la politica attraverso le categorie fedeltà/tradimento. La politica, a differenza della filosofia morale, si occupa dei fatti, non delle intenzioni. Non credo di avere una concezione idealizzata della FIOM. Si tratta – come tutte le grandi organizzazioni e tanto più in una situazione così confusa – di una realtà complessa, non esente da contraddizioni, con situazioni molto differenziate da nord a sud e da città a città. Tuttavia credo che un fatto sia innegabile. Il gruppo che l’ha diretta in questi anni ha fatto delle scelte coraggiose, anche innovando positivamente rispetto ad alcuni elementi della propria cultura e della propria provenienza politica e ha svolto un ruolo oggettivamente propulsivo sul terreno della lotta di classe. Non credo abbia senso né cercare di ‘imbarcare’ Landini e Rinaldini sulla propria Arca di Noè (per di più come se fossero degli sprovveduti), né dare loro ‘lezioni di marxismo’. Ha senso che la sinistra politica apra, con loro e con tutte le altre forze sociali presenti il 16 ottobre, una discussione franca, aperta, senza tatticismi su come dare rappresentanza politica ai lavoratori e ai movimenti che si battono per un’alternativa. Se e con quali forme ciò partorirà quello che alcuni giornali hanno già definiscono rozzamente il ‘partito della FIOM’ non possiamo saperlo. Certo è che in altri paesi nuove formazioni nate dalla crisi della socialdemocrazia e/o dell’estrema sinistra si sono formate proprio grazie al concorso di alcuni settori interni al sindacato: si pensi qualche anno fa alla WASG di Oskar Lafontaine in Germania o al P-SOL di Heloisa Helena in Brasile o più recentemente alla Trade Unionist and Socialist Coalition in Gran Bretagna. E allo stesso tempo è vero che uno schema generale deve tenere conto delle condizioni concrete dei diversi paesi e il nostro è caratterizzato da una regolamentazione molto rigida (e sconosciuta altrove) dei rapporti tra attività politica e attività sindacale.

L’eccezionale presenza di bandiere rosse di Rifondazione Comunista e del PDCI in piazza San Giovanni, se non vale come dimostrazione di un forte radicamento di quei partiti nei posti di lavoro né di una grande interesse dei loro leader nei confronti dei lavoratori, indica tuttavia che lì dentro ci sono ancora delle forze sane che sono pronte a essere investite nella ricostruzione di una sinistra degna di questo nome e imperniata sulla rappresentanza del mondo del lavoro. E che – se vogliamo che questa sinistra esprima una forza reale e non sia semplicemente una voce che grida nel deserto – da quelle forze non si può prescindere. Dunque esse vanno salvaguardate, tenute insieme, protette da chi pensa di utilizzarle ancora una volta come sgabello per i propri interessi personali o ‘di apparato’. Questo è il primo passo. Il secondo, se effettivamente qualcosa si metterà in moto, è decidere se i marxisti lì dentro decidono di essere una parte propulsiva e di giocare un ruolo vero o se invece – come purtroppo è successo nella storia di Rifondazione Comunista – decidono di fare i telecronisti e lasciare che a giocare la partita siano gli altri.

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