lunedì 21 marzo 2011

Il disastro in Giappone colpisce sopratutto i lavoratori La ricostruzione non deve servire gli interessi degli imprenditori privati


Articolo di Carl Simmons, Solidarietà Internazionale CWI in Giappone  tratto da www.socialistworld.net ​​

La prima reazione al terremoto è stata uno reazione di incredulità di fronte alle terribili immagini provenienti dalla zona di Tohoku. Si respira oggi nella società Giapponese una generale aria di depressione e di sconforto. Vengono fatti confronti con le devastazioni della seconda guerra mondiale, anche se ovviamente l'area interessata dalla catastrofe è molto più limitata.

Per quanto riguarda le prospettive sul disastro nucleare, le autorità stanno lottano per impedire una fusione dei tre reattori nucleari. Funzionari del governo e dell'Electric Power Company (TEPCO) hanno cercaro di rassicurare le popolazioni dicendo che la situazione è sotto controllo e che le persone irradiate non corrono alti rischi. 
In Giappone le imprese di proprietà privata e  le industrie nucleari hanno alle spalle una lunga storia di tentativi di nascondere o minimizzare gli impatti degli incidenti come quelli di Monju nella prefettura di Fukui, nel 1995 e Tokaimura nel 1999, per questo motivo, molte persone credono che il governo stia sottovalutando la gravità della crisi per evitare di creare una situazione di panico. Sezioni del mondo degli affari sono già in fuga da Tokyo. La Settima Flotta degli Stati Uniti, con la portaerei "Ronald Reagan", si è ritirato ad una distanza di sicurezza da Fukushima dopo il rilevamento dei livelli di  radioattività. Ma la maggior parte della popolazione giapponese non ha naturalmente nessun posto dove fuggire in caso di emergenza nucleare. 

Il movimento anti-nucleare in Giappone ha da tempo messo in guardia sui pericoli della costruzione di reattori vicino alle linee di faglia principali. Ci sono stati numerosi segnali di avvertimento, come i danni a un impianto TEPCO nel terremoto Chuetsu-oki nel 2007. Ciononostante, il capitalismo giapponese ha continuato a fare affidamento sull'energia atomica: i reattori nucleari forniscono oggi il 30% dell’energia al paese. Appare dunque chiaro che se anche  si riuscisse ad  evitare una grave catastrofe nucleare, il capitalismo giapponese si troverebbe a dover comunque fronteggiare una grave crisi energetica, con molti dei reattori fuori uso. 

Nel caso di Fukushima, l'uso di acqua di mare per raffreddare le barre significa quasi certamente che questi reattori non potranno più essere utilizzati neanche parzialmente. Le autorità stanno ora organizzando interruzioni di corrente a rotazione nel Giappone orientale, per sollecitare i consumatori a risparmiare sul consumo energetico. Gli sforzi delle autorità si scontrano però con l’assenza di una vera e propria rete nazionale dell’energia e questo perché il settore é dominato da una piccola decina di società private regionali. 

Un autentico partito dei lavoratori in Giappone, rivendicherebbe la nazionalizzazione sotto il controllo e la gestione dei lavoratori di queste compagnie regionali. Questo permetterebbe di ridurre la dipendenza dal nucleare e consentirebbe lo sviluppo di fonti energetiche alternative. Essendo il Giappone l’unico paese ad essere stato vittima di un attacco con armi nucleari vi è oggi un enorme paura degli effetti delle radiazioni. La crisi darà senza dubbio un nuovo impulso al movimento anti-nucleare, e questo anche se si riuscisse a scongiurare il rischio della catastrofe nucleare. 

Nei prossimi giorni, l'attenzione della gente comune si concentrerà sul soccorso. Come nel terremoto di Hanshin del 1995, i sindacati e le organizzazioni della comunità, probabilmente inizieranno le loro attività di soccorso. Molti giovani intervistati nelle aree non colpite dal sisma esprimono il desiderio di fare qualcosa per aiutare gli abitanti delle zone colpite.

Con il passare dei giorni e delle settimane l’attenzione della gente si sposterà però verso la ricostruzione dei villaggi e della comunità colpite.

La ricostruzione non deve servire gli interessi di imprenditori privati

Il Comitato per un Internazionale dei Lavoratori (CWI) rivendica la nazionalizzazione sotto il controllo e la gestione democratica dei lavoratori e delle comunità locali delle grandi imprese. I piani per la ricostrizione delle zone disastrate devono essere stabiliti dai comitati di quartiere, dalla comunità e dalle organizzazioni dei lavoratori. Gli effetti economici della catastrofe saranno durissimi. Il mercato delle azioni giapponese ha perso il 7% in un solo giorno ed il primo ministro giapponese, Naoto Kan ha parlato di un "New Deal" necessario per far riprendere l’economia del paese.

 E' vero che  il terremoto di Hanshin del 1995 è stato seguito da una ripresa economica, anche se non possiamo escludere in modo categorico che uno scenario simile possa prodursi dobbiamo però tenere a mente che questa volta le distruzioni sono di gran lunga superiori a quelle che erano state generate dal terremoto del 1995. Le finanze dello Stato sono in una posizione molto più debole di quanto non fossero nel 1995. Il Partito Democratico giapponese ha già ritirato la sua promessa di pagare gli assegni familiari e sta tentando di costruire il sostegno per una politica che miri ad aumentare le imposte sui consumi sostenendo che a fronte dell’invecchiamento della popolazione questa è l’unica via praticabile per finanziare il sistema pensionistico del paese.

Una cosa è certa, il capitalismo giapponese cercherà di far pagare ai lavoratori ed alle famiglie povere i costi della ricostruzione. E questo provocherà inevitabilmente un’ondata di resistenza. Il futuro del capitalismo giapponese sembra molto problematico.

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