domenica 4 marzo 2012

L’opinione Giovani sfigati e yuppies di governo



di Giuliano Brunetti

Nelle ultime settimane, abbiamo ascoltato una lunga serie di affermazioni provocatorie contro i giovani e i lavoratori da parte di esponenti del governo ‘tecnico’ delle banche, dei padroni e degli speculatori. Tra queste la dichiarazione: ‘Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfi-gato‘. A fare questa considerazione non è un qualsiasi incartapecorito dinosauro del Governo, ma la sua mascotte, il giovane Michel Martone, un vero e proprio succes boy. Michel Martone è effettiva-mente un personaggio da record: si è laureato in Giurisprudenza a soli 23 anni, è diventato ricercatore a 26 e professore ordinario di Diritto del Lavoro a 31. Insomma una carriera anomala, rapida, tutta in ascesa. Di fronte a un’ascesa così brillante ogni sospetto, ogni perplessità dovrebbe svanire e lasciare posto all’am-mirazione per una figura eccezionale. Purtroppo, veniamo a scoprire che la rapidissima carriera del brillante vice-ministro non è da attribuire semplice-mente al fatto che non è uno sfigato, ma alle classiche raccomandazioni, cono-scenze, amicizie e favori tra compari.


Non ci interessa dimostrare che Michel Martone ha ricevuto qualche spintarella durante la sua irresistibile ascesa, non ci interessa sottolineare il fatto che il vice-ministro è il figlio di un potente avvocato generale della Cassazione (mica uno sfigato qualsiasi), presidente della Commissione per la trasparenza nella Pubblica Amministrazione, nominato da Brunettae sponsorizzato da Sacconi. Non ci interessa nemmeno sottolineare il fatto che la commissione incaricata di valutare l’idoneità ad insegnare del viceministro era stata presieduta da Mattia Persiani, il professore con il quale Martone si è laureato, lo stesso Persiani nel cui studio Martone aveva svolto la pratica di avvo-cato. Non ci interessa neanche mettere il luce, l’ipocrisia, l’arroganza, il cattivo gu-sto e l’odioso paternalismo con il quale questo ‘primo della classe’ bacchetta gli studenti italiani. Quello che ci preme sottolineare è l’abisso che separa il vicemi-nistro dalla realtà e dalle preoccupazioni di milioni di italiani. Un realtà in cui portare a termine gli studi universitari vuol dire quasi sempre fare enormi sacrifici, pagare tasse universitarie e affitti esorbitanti, in cui le pochissime borse di studio vengono attribuite per raccomandazione ad amici e parenti, in cui la maggioranza degli studenti sono costretti a lavorare in nero a cinque euro l’ora come promoter, nelle copisterie, nelle pizzerie, nei call center, per pagarsi esose tasse universitarie. Un mondo in cui è praticamente impossibile per gli studenti che lavorano laurearsi nei termini previsti, un mondo insomma molto lontano da quello che conoscono e frequentano Martone e la gente come lui.

Ma i giovani italiani non sono soltanto degli sfigati, sono anche, stando alle dichiarazioni del Ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri, dei ‘mammoni’ attaccati al posto fisso perché incapaci di tagliare il cordone ombelicale con mam-mà . Una frase ancor più offensiva perché pronunciata dalla madre del giovanotto Piergiorgio Peluso catapultato dalla ma-dre ai vertici della Fondiaria Sai, dove ricopre il ruolo di direttore generale con un compenso annuo di 500mila Euro. In realtà se restiamo a casa più a lungo rispetto ai nostri coetanei negli altri paesi europei non è perché siamo mammoni, ma perché in assenza di aiuti da parte dello Stato, la famiglia è l’unica forma di welfare esistente e capace di garantire la solidarietà tra generazioni. Se non usciamo dal nido familiare è perché andare a vivere da soli significa quasi sempre af-frontare sacrifici enormi, lottare per trovare una stanza singola in uno scantinato spacciata per doppia o magari tripla, dove l’affitto (rigorosamente in nero) non costa mai meno di 200 € quando ti va bene. Noi giovani non siamo attaccati al posto fisso perché - come vorrebbe il cliché usato dalla Cancellieri - saremmo mammoni, ma perché senza non è possi-bile neanche pianificare un week end al mare con gli amici, figuriamoci ottenere un mutuo per portare avanti un progetto di vita. Siamo attaccati al posto fisso, certo: all’ebbrezza della disoccupa zione, della precarietà generalizzata, all’assenza di tutele, all’impossibilità di portare avanti un qualsiasi progetto a medio o lungo termine preferiamo la noia mortale del posto fisso, preferiamo la garanzia di un posto fisso, di un salario garantito.

Il governo Monti, che si è mostrato così benevolo e comprensivo nei confronti nei giovani studenti e dei lavoratori precari, ora sta valutando la possibilità di ‘com-pletare’ la riforma Gelmini, abolendo il valore legale delle lauree e il diverso accreditamento dei singoli atenei. Se venisse abolito il valore legale del titolo di studio, la laurea diventerebbe un pezzo di carta straccia. L’obiettivo neanche troppo nascosto di questa nuova ‘rifor-ma’ , in continuità con tutte le ‘riforme’ dell’istruzione portate avanti negli ultimi vent’anni è costruire un ‘mercato della formazione’. Secondo la retorica padro-nale l’abolizione del valore legale del titolo di studio permetterebbe appunto lo sviluppo di una ‘virtuosa competizione’ tra gli atenei. In realtà non farebbe che accentuare la divisione tra facoltà d’élite, a cui potrebbero accedere solo i figli delle classi dominanti e università pubbliche sempre più prive di risorse. L’abolizione del valore legale del titolo di studio pena-lizzerebbe enormemente la formazione pubblica favorendo ancora una volta gli istituti privati. Spingerebbe i neolaureati delle università di serie B verso lavori di serie B, accentuando ulteriormente il fe-nomeno dramatico dell’immigrazione di giovani laureati dal Sud nel Centro-Nord.

La nostra soluzione ai problemi della università è diametralmente opposta a quella degli amici di Confindustria e della Fondazione Agnelli che oggi ci governano. L'unico vero modo per combattere la perdita di qualità dell'università in Italia è investire massicciamente sull'istru-zione pubblica. E’ vero, il sistema universitario va riorganizzato, ma l’unica forma di riorganizzazione che ci sentiamo di sostenere è quella che mira a una istru-zione pubblica, laica, di qualità, gratuita e accessibile a tutti. Tuttavia una riorganizzazione di questo tipo non può essere fatta all’interno di un sistema dove a decidere delle sorti dell’università sono baroni di centrodestra e di centrosinistra e tecnocrati che rappresentano gli interessi politici e materiali delle classi dominanti.

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