sabato 30 giugno 2012

La Grecia dopo le elezioni del 17 giugno

di Giuliano Brunetti
L’Europa vince, ma non ha una soluzione alla crisi

‘La potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi’. Lenin, Sullo Stato

Le conseguenze della ‘cura greca’ imposta negli ultimi due anni dalla Troika al fine di scongiurare l’ipotesi del fallimento del paese, quindi dell’uscita del paese dalla zona Euro sono sotto gli occhi di tutti. In quattro anni l'economia greca si è ridotta del 20%, la classe media è stata letteralmente distrutta, la disoccupazione è salita oltre il 21%, il 51% tra i giovani, i salari nel settore pubblico sono scesi del 40%. La chiesa ortodossa distribuisce alle popolazioni ridotte alla fame una media di 250mila pasti al giorno e come se non bastasse il debito pubblico è schizzato al 160% del Pil. Di fronte alla gravità della situazione, la classe operaia é scesa più volte in campo imponendo alle direzioni sindacali ben diciassette scioperi generali. Questi scioperi sono nati dal rifiuto dei programmi di austerità, che i governi di coalizione hanno portato avanti seguendo le esigenze e le indicazioni della Troika.

Il risultato delle elezioni greche del 6 maggio, un vero e proprio terremoto politico nel paese, è stato l’espressione del processo di forte radicalizzazione che sta attraversando la società greca. L’elettorato ha punito tutti quei politici e quei partiti che hanno attuato politiche di austerità. Ciò ha determinato un collasso dei principali partiti politici, in particolarmodo di Nea Demokratìa (ND) e del Partito socialista (PASOK). E’ la migliore manifestazione del rifiuto dell’austerità da parte della gente comune ma anche e sopratutto dell’odio e della rabbia verso le élites e i loro rappresentanti politici. Syriza, la coalizione della sinistra radicale, a maggio ha beneficiato più di chiunque altro di questo stato d’animo anti-austerità, aumentando i propri voti dal 4,6% al 16,78%. A differenza di quanto fanno i partiti di sinistra italiani la dire-zione di Syriza ha correttamente rifiutato di partecipare a una coalizione sia con il PASOK che con Nea Demokratìa, a causa del loro sostegno ai ‘piani di salvataggio’ e la loro accettazione dell’austerità. Syriza ha proposto la formazione di un blocco di sinistra con il Partito comunista greco, il KKE, e con Sinistra democratica per costruire un governo di sinistra. Incomprensibilmente la direzione del KKE ha rifiutato di incontrare Tsipras, il principale dirigente di Syriza, una scelta che conferma l’atteggiamento settario del KKE nei confronti della sinistra e del movimento sindacale, che in questi anni lo ha portato a convocare cortei, blocchi e manifestazioni separate. Il partito neo-fascista Alba Dorata, che con il 6,97 per cento dei voti ha eletto 21 deputati é riuscito a capitalizzare sul malcontento dei ceti popolari. Questo risultato rappresenta un forte avvertimento per il movimento operaio rispetto a ciò che potrebbe succedere nel paese se Syriza e la sinistra in generale non riescono a porsi alla testa delle vittime della crisi nella battaglia contro l'austerità. Mentre scriviamo, Alba Dorata sta inviando le sue ‘camicie nere’ a mettere in atto aggressioni nei confronti di immigrati.

‘Siamo fiduciosi sulle elezioni greche del 17 giugno. Il 6 maggio i greci hanno votato contro il sistema. Ora hanno paura’. Questo è quello che dichiarava sotto copertura di anonimato, un Commissario Europeo il 25 maggio al giornale belga Le Soir. Di fronte all’im-possibilità di formare un governo di coalizione, nuove elezioni sono state con-vocate per il 17 giugno. Il gruppo dei partiti ‘pro-tagli’ guidati dal PASOK e da Nea Demokratìa, sostenuti dalla troika, ha disperatamente cercato di trasformare queste seconde elezioni in un referendum sulla appartenenza alla zona euro e all'Unione europea, piuttosto che sulle loro politiche di austerità. La classe dominante europea è terrorizzata all’idea che la Grecia esca dalla zona euro, perché, in tal caso, è probabile che altri Stati membri seguiranno questa strada. Il Centro per la Ricerca Economica e il Business stima che un’uscita ‘disordinata’ della Grecia dall'Euro potrebbe costare fino a 1 trilione di dollari alla zona euro. Un’uscita ‘ordinata’ invece costerebbe il 2 per cento del PIL dell'UE. Uno sviluppo di questo tipo avrebbe conseguenze enormi per l'intera Unione europea. Le banche spagnole, per esempio, sono sull'orlo del fallimento. Il governo spagnolo è stato recentemente costretto a nazionalizzare il 40% di Bankia. I 700 miliardi di euro del fondo di stabilità europeo non sono assolutamente sufficienti per stabilizzare il sistema bancario della zona euro. Le successive elezioni del 17 giugno hanno visto prevalere Nea Demokratìa col 30%, seguita di poco da Syriza. Dunque è in arrivo un nuovo governo disposto a far ingoiare alla popolazione greca altri tagli e sacrifici, ma si tratterà probabilmente solo di una vittoria temporanea del partito della troika, perché il debito che grava sulla Grecia è insostenibile e le misure di austerità provocheranno nuove mobilitazioni. L’uscita della Grecia dalla zona euro va quindi considerata come certa. Nonostante il carattere estremamente vago del programma di Syriza, la sua decisa avversità ai i tagli e il rifiuto di entrare in coalizione con i partiti pro-austerità hanno rafforzato la sua posi-zione. In un mese Syriza è balzata dal 17% al 27% dei consensi, solo tre punti in meno di Nea Demokratìa. Questo le dà la possibilità di svolgere un ruolo importante nel legare l’opposizione sociale in piazza a quella politica in Parlamento.

D’altra parte, qualunque cosa succeda, un’eventuale uscita dall’euro non fornirebbe automaticamente una via d'uscita dalla crisi. La svalutazione della dracma potrebbe in un primo tempo stimolare le esportazioni. Ma l’UE non lascerebbe ‘invadere’ i suoi mercati da merci a basso costo. Inoltre la Grecia non dispone di materie prime da esportare e ha una produzione industriale limitata. La sua dipendenza dalle importazioni di beni e carburante renderebbe le importazioni molto più care in caso di svalutazione della moneta. Nel quadro del capitalismo, dentro o fuori dall’euro, non esistono soluzioni miracolose alla crisi greca. L’unica soluzione possibile è un governo espressione dei lavoratori e dei ceti popolari, capace di mettere in campo misure socialiste, il controllo democratico sulla produzione da parte dei lavoratori e di rispondere a un’eventuale espulsione dall’euro nazionalizzando le banche, le istituzioni finanziarie e le grandi imprese, di introdurre il controllo sui capitali e sul credito per evitare una fuga di capitali che aggraverebbe le già disperate condizioni di vita dei lavoratori.

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